lunedì 29 dicembre 2008


Anoressia e bulimia non si risolvono con lo sport

Chi soffre di disturbi alimentari deve evitare danza, ginnastica artistica, atletica leggera e ciclismo: peggiorano le cose

Non è proprio vero che lo sport faccia bene a tutti. Ad alcune persone potrebbe addirittura risultare controproducente: sono coloro che soffrono di disturbi dell’alimentazione come anoressia o bulimia. Queste persone di solito sono portate ad abusare della palestra o dell’attività sportiva in genere per mantenersi in forma in maniera ossessiva. Risultato: il movimento diventa una sorta di strumento di autolesionismo.
"Gli sport più a rischio sono la danza, la ginnastica artistica, l'atletica leggera e il ciclismo", spiega Laura Dalla Ragione, psichiatra e coordinatrice del comitato congiunto dei ministeri del Welfare e della Gioventù, incaricato di mettere in campo azioni di contrasto ai disturbi del comportamento alimentare. "La danza, la ginnastica e l'atletica sono le attività a maggior rischio di ‘ossessione’ legata alla forma fisica perfetta e alla magrezza. Nel ciclismo, poi, unito al rischio legato al doping, è presente anche il pericolo di cadere nella morsa dei disturbi alimentari”.
I disordini alimentari sono ormai un autentico fenomeno diffuso purtroppo in modo trasversale alle fasce sociali e alle età. "Si tratta”, dice ancora Dalla Ragione, “di un'epidemia sociale e globalizzata che si sta diffondendo a macchia d'olio, ed è per questo che sono importanti gli interventi messi in campo per contrastarla". Nella danza, ad esempio, verrà attivato dal ministero del Welfare un progetto sperimentale di formazione ad hoc per gli insegnanti, che verranno sensibilizzati a controllare i loro allievi e a contrastare l'insorgenza di anoressia o bulimia.

martedì 16 dicembre 2008


MAIALI E MUCCHE ALLA DIOSSINA, E' VERO PERICOLO?

Il rischio è molto basso. L’Italia importa dall’Irlanda solo lo 0,3% della carne. E la rete di controlli si è sempre dimostrata efficiente

Torna l’allarme contaminazioni alimentari. Questa volta tocca alla carne, dopo la scoperta che partite (di suini e bovini) alla diossina provenienti dall’Irlanda sono state esportate in una ventina di Paesi Ue, tra cui l’Italia. Ma com’è davvero la situazione, quanto rischiamo?

A conferma del fatto che la rete di controlli esistenti su tutto il territorio nazionale è molto efficace, è stato subito diramato l'allerta a tutti gli Assessorati alla sanità regionali con l'obbligo di rintracciare e sequestrare a scopo cautelativo tutte le carni suine irlandesi e prodotti eventualmente trasformati, introdotti in Italia a partire dal 1 settembre scorso. Le indagini sono svolte dai Carabinieri per la tutela della salute.

Sembra che le partite di carne irlandese sul nostro territorio siano solo 22. Il pericolo è dunque molto circoscritto, soprattutto in considerazione del fatto che l’Italia importa dall’Irlanda solo lo 0,3% del totale delle carni. Secondo La Confederazione italiana degli agricoltori (Cia) “i controlli sono rigidi e quotidiani. E la nostra produzione è di altissima qualità, sottoposta in ogni fase della filiera a verifiche e test rigorosissimi”. I consumatori possono dunque "mangiare tranquillamente la carne suina nazionale. Anche quest'ultima vicenda pone l'esigenza dell'estensione dell'indicazione d'origine in etichetta per tutte le produzioni, uno strumento fondamentale che garantisce sia i consumatori che gli stessi produttori agricoli".

Sulla stessa lunghezza d’onda la Coldiretti, secondo cui la rete di controlli presenti in Italia è sicura ed efficiente. L’obbligo poi di indicare la provenienza in etichetta, fa il resto: “I consumatori possono riconoscere direttamente sugli scaffali la carne bovina proveniente dall’Irlanda. Per non rincorrere le emergenze, sostiene la Coldiretti, occorre estendere a tutti gli alimenti l’obbligo di un sistema di etichettatura che indichi la provenienza (lo stato di nascita, di allevamento e di macellazione) proprio come è stato già fatto per quella di pollo e per quella bovina dopo le emergenze aviaria (2005) e mucca pazza (2002). Informazioni che mancano ancora per la carne di maiale.

Che fare, dunque? Consumare carni suine italiane, che, spiega Coldiretti, “sono riconoscibili da marchi di qualità come il Gran Suino Padano (GSP) per il prodotto fresco o da quelli europei a denominazione di origine per i salumi. Ma c’è in molti casi anche l’opportunità di acquistare direttamente in molti dei cinquemila allevamenti di maiali presenti in Italia”.

lunedì 8 dicembre 2008


PRENDIAMO TROPPI ANTIBIOTICI E LI USIAMO MALE

Un milione e mezzo di italiani ne prendono uno ogni giorno. Aumentano le reazioni allergiche. E i batteri diventano resistenti alle terapie

Hai un po’ di febbre? Prendi l’antibiotico. Mal di denti? Prendi l’antibiotico. Si potrebbe andare avanti all’infinito con gli esempi, vista l’abitudine deleteria e diffusa di mettere mano a questa categoria di farmaci al minimo malanno, senza consultare prima il medico. Ora, quella che pensavamo una sensazione, prende forma in un dato preciso: gli italiani usano sempre di più e male gli antibiotici, ogni giorno un milione e mezzo di cittadini assume questi medicinali. In alcuni casi, l’uso è cresciuto del 400%. Il pericolo? Ritrovarci fra qualche anno senza gli strumenti per combattere le infezioni, proprio a causa della capacità dei batteri di modificarsi imparando a resistere all'attacco dei farmaci.

I dati dimostrano che gli antibiotici sono al terzo posto come spesa nella classifica dei farmaci dispensati a carico del Servizio sanitario nazionale e al quinto se si considerano gli acquisti fatti direttamente dai cittadini.

Questi farmaci, ha spiegato il direttore generale dell'Aifa Guido Rasi, vengono utilizzati soprattutto per problemi all'apparato respiratorio, ma troppo spesso impropriamente durante le influenze stagionali. Infatti, come dimostra un sondaggio presentato dal presidente dell'Istituto superiore di sanità, Enrico Garaci, quasi un italiano su tre ha preso un antibiotico per curare l'influenza ed un quarto per guarire i raffreddori. Quattro italiani su dieci hanno anche dichiarato di non avere terminato il ciclo degli antibiotici, usando quindi questi prodotti in modo sbagliato.

“Ribadiamo l'importanza di rivolgersi ai medici”, ha detto il sottosegretario con delega alla Salute Ferruccio Fazio, che non ha escluso interventi anche di altro tipo, non solo sui cittadini, per ridurre l'uso di questi prodotti in Italia che si posiziona in Europa fra i paesi con maggior consumo.