domenica 30 marzo 2008


Attacchi di panico e disturbo di panico
Gli attacchi come disturbo d'ansia

Il Disturbo di Panico, cioè DP (una volta conosciuto come DAP, ovvero disturbo da attacchi di panico), è un serio problema di ansia che colpisce una persona su 75 circa. Di solito appare durante l'adolescenza o la prima età adulta e, anche se le cause precise non sono chiare, sembra esserci un nesso con le più importanti fasi di transizione della vita che portano inevitabilmente una certa quantità di stress e ansia: gli esami scolastici e universitari, il matrimonio, il primo figlio, cambiare lavoro o posizione lavorativa, e così via. Ci sono anche prove di una predisposizione genetica. Se un familiare ha sofferto di attacchi di panico, si ha una maggiore probabilità di soffrire dello stesso disturbo, soprattutto in un momento della vita particolarmente stressante.
Anche se solo uno psicologo o uno psichiatra può diagnosticare un disturbo di attacchi di panico, ci sono alcuni segnali che possono essere identificati facilmente.
In uno studio recente si è scoperto che negli Stati Uniti in alcuni casi le persone hanno visto dieci o più medici prima che il disturbo fosse loro correttamente diagnosticato, e che solo una persona su quattro che ha il disturbo riceve il trattamento di cui necessita. Ecco perché è molto importante sapere quali sono i sintomi ed essere sicuri di ricevere l'aiuto giusto.
Molte persone (circa una su tre) sperimentano attacchi di panico occasionali e se se ne sono avuti uno o due, probabilmente non vi è alcun bisogno di preoccuparsene. Il sintomo chiave è la paura persistente di avere altri attacchi nel futuro. Se si soffre di attacchi ripetuti (quattro o più) e soprattutto se se ne è avuto uno e si vive nella paura continua di averne un altro, questo è il segnale che si dovrebbe considerare l'aiuto di uno psicoterapeuta che sappia trattare disturbi di ansia.
Senza che venga curato, il disturbo da attacchi di panico può portare a conseguenze di varia natura, come verrà descritto più avanti.
Attacchi di panico e agorafobia: disturbi associati
Il rischio più facilmente connesso il disturbo da attacchi di panico sono le fobie. Ecco perché una volta che si è avuto un attacco di panico, si possono cominciare ad evitare situazioni come quelle in cui è capitato l'attacco.
Molte persone con il disturbo da attacchi di panico mostra un evitamento della situazione (o "evitamento situazionale") associato con i loro attacchi di panico (la persona vuole a tutti i costi tentare di evitare una situazione che associa al terrore dell'attacco di panico). Per esempio si può avere un attacco mentre si guida e cominciare a evitare di guidare finché si sviluppa una fobia vera e propria. Nei peggiori scenari, le persone con il questo disturbo sviluppano l'agorafobia (la paura degli spazi aperti) perché pensano che stando in casa possono evitare tutte le situazioni che potrebbero provocare il problema, o dove non potrebbero avere aiuto. Per queste persone, la paura di un attacco è così debilitante che preferiscono passare tutta la vita chiuse in casa.
Effetti collaterali degli attacchi di panico con o senza agorafobia
Anche se non vengono mai sviluppate tali fobie estreme, la qualità della vita può essere seriamente danneggiata dal disturbo in questione se non curato. Uno studio recente ha mostrato che le persone che ne soffrono:
• In alcuni casi possono essere più inclini all'alcol e ad altri abusi di droghe
• Passano più tempo nelle sale d'emergenza degli ospedali
• Passano meno tempo con i loro hobby, sport e altre attività appaganti
• Tendono ad essere finanziariamente, emotivamente e logisticamente dipendenti da altri
• Riportano sensazioni emotivamente e fisicamente meno sane rispetto ai non sofferenti
• Hanno paura di guidare o di camminare da sole anche per brevi distanze da casa (agorafobia)
Il disturbo, può avere anche effetti economici. Per esempio, persone sofferenti hanno riportato di aver perso il loro lavoro e di dover contare sull'assistenza pubblica o sui familiari per mantenersi.
Gli attacchi di panico, intesi come disturbo d'ansia, può portare anche fobie, come per esempio l'agorafobia, oppure può essere portato da fobie specifiche.
Attacchi di panico, ansia e agorafobia
L'attacco di panico, essando una manifestazione d'ansia, ha lo stesso tipo di beneficio dal rilassamento che hanno tutti i disturbi d'ansia. Anche l'agorafobia può essere risolta completamente, anche se appare più resistente rispetto alle fobie specifiche. Quando l'agorafobia è portata dagli attacchi di panico, d'altro canto, a mano a mano che le crisi di attacchi di panico si diradano, l'agorafobia diventa sempre meno resistente.

Guarire dagli attacchi di panico


Fin troppo spesso gli attacchi di panico sono curati solo con farmaci. Questo equivale a dire che questi attacchi di panico sono lasciati non curati. Sempre più persone si sono persuase che il loro male non può essere guarito e che gli attacchi di panico continueranno a tormentarli per sempre.
Le statistiche dicono che solo in una bassissima percentuale di casi ciò può essere vero, e dipende spesso da fattori collaterali, quali la depressione in cui entrano le persone con gli attacchi di panico più gravi con la frequenza più alta e soprattutto la mancanza di speranza. Alcune persone, tuttavia, hanno già avuto esperienza con terapie psicologiche senza che queste abbiano portato alcun beneficio immediato. Si tratta per lo più di terapie a lunga durata, che hanno come obbiettivo il benessere psicologico della persona intesa nel suo insieme. Molti tipi di terapie non sono focalizzate sul sintomo, per cui spesso le persone che soffrono di un problema così disturbante come quello di panico si trovano non preparate a "girare intorno al problema". Esistono invece terapie più brevi, focalizzate proprio sugli obiettivi concordati tra paziente e terapeuta. Queste possono essere di vario tipo. Fra queste vale la pena di prendere in considerazione la terapia specifica per gli attacchi di panico, che è un tipo specifico di psicoterapia breve.

Sintomi degli attacchi di panico
Diagnosi del disturbo di panico


Anche se solo uno psicologo o uno psichiatra può diagnosticare un disturbo di panico (o "disturbo da attacchi di panico", DAP), ci sono alcuni sintomi degli attacchi di panico che possono essere identificati facilmente.
In uno studio recente si è scoperto che negli Stati Uniti in alcuni casi le persone hanno visto dieci o più medici prima che il disturbo fosse loro correttamente diagnosticato, e che solo una persona su quattro che ha il disturbo riceve il trattamento di cui necessita. Ecco perché è molto importante sapere quali sono i sintomi ed essere sicuri di ricevere l'aiuto giusto.
Molte persone sperimentano attacchi di panico occasionali e se si sono avuti uno o due di questi attacchi, probabilmente non vi è alcun bisogno di preoccuparsene. Il sintomo chiave del disturbo di attacco di panico è la paura persistente di avere attacchi di panico nel futuro. Se si soffre di attacchi di panico ripetuti (quattro o più) e soprattutto se si è avuto un attacco di panico e si vive nella paura continua di averne un altro, questo è il segnale che si dovrebbe considerare l'aiuto di uno psicologo professionista che sappia trattare disturbi di attacchi di panico e di ansia.
I sintomi degli attacchi di panico, ovvero: come riconoscere un attacco
Un attacco di panico esplode all'improvviso con una paura travolgente che viene senza avvisaglie e senza alcuna ragione apparente. È molto più intensa della sensazione di spavento dovuto a qualcosa di specifico che la maggior parte delle persone può avere sperimentato. I sintomi dell'attacco di panico includono:
• aumento della frequenza cardiaca
• difficoltà di respirazione, sensazione di non riuscire ad inalare aria a sufficienza
• terrore quasi paralizzante
• vertigini, stordimento o nausea
• tremori più o meno forti e sudorazione
• soffocamento, dolori al torace
• vampate di calore o senso di freddo improvviso
• torpore o formicolio alle dita
• paura di impazzire o di stare per morire

Sintomi degli attacchi di panico: cosa significano
Questi sintomi somigliano alla classica risposta "attacca o fuggi" che gli esseri umani sperimentano quando sono in una situazione di pericolo. Durante un attacco di panico, invece, questi sintomi sembrano spuntare fuori dal nulla. Possono capitare in situazioni apparentemente inoffensive, addirittura mentre si dorme.
La causa sostanzialmente può essere imputata a due fattori: mentale e fisico. Si rimanda alla pagina sulla causa degli attacchi di panico per ulteriori approfondimenti.
Ulteriori note sui sintomi degli attacchi di panico
Oltre ai sintomi degli attacchi di panico sopra esposti, un attacco di panico è contrassegnato dalle seguenti condizioni:
• Capita improvvisamente, senza preavviso e senza modo di fermarlo
• Il livello di paura non è affatto proporzionale alla situazione corrente. In realtà, spesso non è affatto correlato.
• Dura da pochi minuti a mezz'ora circa; il corpo non riesce a sostenere la risposta "attacca o fuggi" più a lungo di così. Attacchi di panico ripetuti possono tuttavia ricorrere di continuo per ore.
Un attacco di panico non è pericoloso, ma può essere terrificante, soprattutto perché si sente di perdere completamente il controllo. Il disturbo è così grave non solo per via degli attacchi di panico in sé, ma anche perché spesso porta ad altre complicazioni quali fobie, depressione, abuso di sostanze, complicazioni mediche e perfino suicidio. Gli effetti possono variare dal deterioramento delle relazioni sociali all'incapacità completa di affrontare il mondo esterno.

Evitamento situazionale

Di fatto le fobie che sviluppano le persone con disturbo da attacchi di panico non vengono dalla paura di oggetti o eventi reali, ma piuttosto dalla paura di avere un altro attacco. In alcuni casi, le persone eviteranno certi oggetti o situazioni (evitamento situazionale) per via della loro paura che queste possano far scaturire un altro attacco e subire ancora i sintomi degli attacchi di panico.

I trattamenti per gli attacchi di panico

La maggior parte degli specialisti concordano che un trattamento che usa una combinazione di tecniche cognitive e comportamentali possa essere una buona terapia per curare gli attacchi di panico, o più propriamente, il disturbo da attacchi di panico.
Viene utilizzata anche l'ipnosi, intesa come tecnica o come terapia. Quando si parla di ipnosi come tecnica, questa può essere inserita all'interno di una cornice cognitivo-comportamentale, mentre quando si parla di ipnosi come terapia, alcune tecniche cognitivo comportamentali possono essere inserite nel contesto ipnotico.
Anche se sembra una distinzione troppo sottile, il risultato complessivo è di fondamentale importanza. Molti specialisti ricorrono a tecniche cognitive comportamentali perché la loro formazione prevede l'esecuzione di tali tecniche sui pazienti.
Nei casi più gravi anche la prescrizione di farmaci può essere appropriata.

Tecniche cognitive per curare gli attacchi di panico


La prima parte della cura è soprattutto informativa; molte persone vengono già aiutate moltissimo per il semplice fatto di comprendere esattamente che cosa è un disturbo da attacchi di panico, e che molti altri soffrono dello stesso problema. In molti casi, dunque, curare gli attacchi di panico significa semplicemente conoscere più approfonditamente il fenomeno. Molte persone che soffrono del disturbo da attacchi di panico temono che gli attacchi significhino che stanno "impazzendo" o che il panico possa indurre un attacco di cuore. La "ristrutturazione cognitiva" (il cambiamento del modo di pensare) aiuta le persone a rimpiazzare questi pensieri con modi più realistici e positivi di vedere gli attacchi.
Con il susseguirsi delle sessioni del trattamento le tecniche cognitive possono aiutare il paziente a identificare i possibili fattori scatenanti degli attacchi. In un caso specifico il fattore scatenante può essere un pensiero, una situazione o qualcosa di impercettibile come un leggero cambio nel battito cardiaco. Una volta che il paziente capisce che l'attacco di panico è separato e indipendente dal fattore scatenante, questo fattore comincia a perdere un po' del suo potere nell'indurre un attacco.

Tecniche comportamentali per curare gli attacchi di panico


La componente comportamentale della terapia può consistere in ciò che un gruppo di clinici ha definito "esposizione interocettiva" (o anche esposizione enterocettiva). Questa è simile alla desensibilizzazione sistematica usata per curare le fobie, ma ciò su cui si concentra è l'esposizione delle sensazioni fisiche che qualcuno sperimenta durante un attacco di panico.
Le persone con il disturbo da attacchi di panico sono più spaventate dall'attacco vero e proprio che da oggetti o eventi; per esempio la loro paura di volare non consiste nel pensare che l'aereo possa cadere, ma nel pensare di poter avere un attacco di panico in un posto, l'aereo appunto, in cui non possono ricevere aiuto. Altri non bevono caffè o non vanno in un ambiente surriscaldato perché temono che questi possano scatenare i sintomi di un attacco di panico.
L'esposizione interocettiva può aiutare queste persone a sperimentare i sintomi di un attacco (frequenza cardiaca elevata, vampate di calore, sudorazione, e così via) in condizioni controllate e insegnare loro che questi sintomi non devono necessariamente svilupparsi in un attacco completo. Le tecniche comportamentali vengono usate anche per trattare gli evitamenti situazionali associati con gli attacchi di panico. Un trattamento per le fobie efficace è l'esposizione dal vivo, che nei termini più semplici significa frantumare una situazione spaventosa in passi piccoli e maneggevoli facendone uno per volta finché viene padroneggiando il livello più difficile. Va detto tuttavia che questa tecnica in passato si è rivelata inutilmente traumatica, e nel caso si debbano curare gli attacchi di panico nello stesso soggetto, le tecniche più consigliate rimangono altre (come la desensibilizzazione sistematica immaginativa usata in ipnosi, per esempio).
Le tecniche di rilassamento possono aiutare ulteriormente qualcuno a superare un attacco di panico. Queste tecniche includono una rieducazione alla respirazione e la visualizzazione positiva. Alcuni esperti hanno scoperto che le persone con disturbo da attacchi di panico tendono ad avere una frequenza di respirazione leggermente più alta del normale. Imparare a rallentare la frequenza respiratoria può aiutare qualcuno ad vincere gli attacchi di panico e può anche prevenire futuri attacchi.
Rimedi per gli attacchi di panico (I): i farmaci
In alcuni casi possono servire anche i farmaci. Possono essere prescritti farmaci ansiolitici così come antidepressivi e qualche volta farmaci per le cardiopatie (come i beta-bloccanti) che vengono usati per controllare il battito cardiaco irregolare.
Rimedi per gli attacchi di panico (II): i gruppi di discussione
Infine un gruppo di supporto con altri che soffrono di disturbo da attacchi di panico può essere molto utile per alcune persone. È stato riscontrato che anche in caso di comunità virtuali, il senso di accoglienza e la condivisione di problematiche comuni può avere alcuni effetti benefici. Naturalmento questo non può prendere il posto di una terapia, ma può essere un'utile aggiunta.
Se si soffre di disturbo da attacchi di panico, queste terapie possono aiutare. Ma non si possono fare da soli; tutti questi trattamenti devono essere strutturati e prescritti da uno psicologo o uno psichiatra regolarmente iscritti all'albo nazionale.
Durata della terapia necessaria per vincere gli attacchi di panico definitivamente
Il successo del trattamento dipende soprattutto dalla buona volontà di seguire il piano del trattamento prescritto. Questo è spesso sfaccettato e non funziona dalla sera alla mattina, ma se ci si attiene, si comincia ad avere un miglioramento notevole entro 10 – 20 sessioni settimanali (una sessione a settimana per 10 - 20 settimane). Se si continua a seguire il programma, entro un anno si noterà un miglioramento formidabile.
Se si soffre di disturbo da attacchi di panico, si dovrebbe essere in grado di trovare aiuto nella propria zona. Bisogna trovare uno psicologo o uno psichiatra iscritti all'albo specializzati in disturbi di panico o di ansia. Possono addirittura esserci cliniche specializzate in questi disturbi. Quando si parla con un terapeuta, occorre specificare che si pensa di avere un disturbo da attacchi di panico e chiedere riguardo la sua esperienza nel trattamento di tale disturbo.
Bisogna tenere in mente, comunque, che il disturbo da attacchi di panico, come ogni altro disturbo emozionale, non è qualcosa che ci si può diagnosticare o curare da soli. Uno psicologo clinico o uno psichiatra esperti sono le persone più qualificate per fare la diagnosi, così come sono i più qualificati per trattare questo disturbo. Queste pagine sono state pensate per rispondere alle domande più basilari riguardo il disturbo; un professionista della salute mentale sarà in grado di dare informazioni più complete per curare gli attacchi di panico.

Attacchi di ansia


L'ansia è uno dei più diffusi disturbi del pianeta. A volte si può soffrire di attacchi di ansia, come qualcuno li chiama, ovvero una specie di attacchi di panico ma che non presentano le stesse caratteristiche di durata o intensità.
Gli attacchi d'ansia sono un fenomeno ancora poco compreso, soprattutto perché non sono classificati sul manuale diagnostico di riferimento per i disturbi psicologici, l'ubiquitario DSM, anche nella sua più recente revisione (DSM IV-TR).
Un attacco di ansia avviene dunque più o meno come un attacco di panico vero e proprio, solo che può durare dai pochi secondi (anche una frazione di secondo, in realtà) alle diverse ore. Si presenta con segnali fisici piuttosto simili a quelli degli attacchi di panico che in particolare mimano i disturbi cardio-circolatori (tachicardia, pressione arteriosa, caldo-freddo, sudorazione, ecc.), quelli respiratori (dispnea, affanno), quelli muscolari-tensivi, quelli addominali (indigestione, nausea, crampi intestinali), e quelli vestibolari (vertigini, "testa vuota", ecc.).
Il trattamento per questo tipo di attacchi è un po' più sottile che per gli attacchi di panico veri e propri. E per diversi motivi. Per certi aspetti la terapia ne è avvantagiata, mentre per altri ne è ostacolata.

domenica 9 marzo 2008


ACNE: QUELLO CHE SI DEVE SAPERE
PER CURARLA E VIVERE MEGLIO

L’acne è uno dei disturbi cutanei più diffusi; colpisce soprattutto i giovani a cominciare dai 12-13 anni ma può presentarsi anche dai 30 anni in avanti. Questa dermatosi in molti casi tende a scomparire da sola dopo un certo numero di anni, però, se non curata, rischia di segnare la pelle con profonde cicatrici. Oltre questa temibile complicazione l’acne può provocare anche disturbi psicologici, soprattutto nei giovani, poiché colpisce in particolar modo la pelle del viso e quindi si può comprendere quanto sia importante intervenire con le cure precocemente. Vediamo ora quali sono le cause e come si manifesta questo disturbo.
Queste sono le cause
Ogni centimetro quadrato di pelle contiene circa 100 ghiandole sudoripare e 15 ghiandole sebacee; queste ultime sono poste alla base dei peli e producono una particolare sostanza chiamata sebo che, insieme al sudore, forma una specie di mantello acido-liquido su tutto il corpo. Tutto ciò permette una difesa passiva (di barriera) e attiva (di disinfezione) contro batteri, parassiti e funghi.
Le ghiandole sebacee producono in particolari condizioni più sebo del normale e cioè nella pubertà e nella menopausa. In questi momenti nel corpo umano accadono modificazioni ormonali importanti come: l’aumento degli androgeni nella pubertà (ormoni maschili che, anche se in quantità limitate, hanno anche le donne) e l’aumento del progesterone nella menopausa. Ebbene, l’acne è un disturbo che interessa le ghiandole sebacee ed è dimostrato che chi ne soffre ha una particolare sensibilità ghiandolare agli ormoni sopracitati. Non è chiaro perché vi sia in alcune persone questa "sensibilità" e più ricerche hanno chiamato in causa vari fattori. Vediamone alcuni:

Fattori genetici
Una pelle particolarmente "grassa" può essere ereditata; però non è assolutamente dimostrato che questa causi acne o che i figli di genitori con acne soffrano sicuramente di questo disturbo. Si può peraltro affermare che la pelle grassa predispone all’acne poiché l’eccesso di sebo, come vedremo, può formare il cosiddetto punto nero, o comedone, prima manifestazione del processo acneico.
Eccessiva produzione ormonale
In alcuni "acneici" si sono riscontrati nel sangue ormoni in eccesso, in molti altri, invece, i dosaggi ormonali sono nella norma. E’ vero tuttavia che in tutte le persone con acne si sono trovate concentrazioni ormonali aumentate a livello cutaneo.

Fattori dietetici
L’ingestione eccessiva di grassi, dolciumi, carboidrati, alcolici, latticini, con una azione diretta sulle ghiandole sebacee, sembrano tutti accentuare, più che causare, l’acne. Soprattutto per quanto riguarda gli zuccheri, sperimentazioni farmacologiche hanno rilevato che l’assunzione, a piccole dosi, di "ipoglicemizzanti orali" (farmaci utilizzati nel diabete) possono migliorare l’acne.

Lo stress
In periodi di tensione, come per esempio quando si è sotto esame, l’acne tende ad aumentare. Che lo stress sia una delle cause dell’acne è però ancora da dimostrare, anche se è vero che gli stress emotivi possono aumentare la produzione di ormoni. Peraltro l’acne stessa per il disagio sociale che procura, particolarmente negli adolescenti, è fonte di stress causando un circolo vizioso: acne-stress-aumento ormoni-aumento acne.

Fattori intestinali
La stitichezza molte volte è causa di acne. Più che influenzare gli ormoni la pigrizia intestinale causa una mancata eliminazione delle tossine che si accumulano a vari livelli nel corpo, in particolare nella pelle diminuendo così l’efficacia del "mantello cutaneo" prodotto dalle ghiandole sebacee e dalle ghiandole sudoripare. Molte volte infatti, in casi lievi di acne, la correzione del disturbo intestinale ha portato un sensibile miglioramento della dermatosi.

Fattori psicosomatici
Dal punto di vista psicologico le malattie della pelle hanno sempre creato molto interesse. Attualmente anche i dermatologi più tradizionalisti ammettono che la componente psicosomatica è importante davanti a riscontri evidenti quali il legame tra stati ansiosi e aumento dei disturbi cutanei. Impallidire di paura, arrossire d’imbarazzo, essere verdi di rabbia, avere i nervi a fior di pelle, farsi il callo non sono solo alcuni dei modi di dire che si usano per indicare la corrispondenza tra pelle ed emozioni. In questo senso citiamo due tipi di interpretazione psicosomatica dell’acne.

La prima interpretazione è della scuola psicanalitica
Secondo questa scuola l’acne (insieme a eczema, psoriasi, e altre dermatosi) rappresenta un conflitto profondo tra il desiderio d’amore e la paura di esserne privati che in gran parte deriverebbe dal rapporto madre-figlio nei primi anni di vita, durante i quali il "contatto" epidermico ha grande importanza. In età puberale tutto ciò si manifesta con la "maschera acneica" che "abbruttisce", che "tiene a distanza gli altri", che aiuta a evitare gli incontri amorosi, da un lato temuti e dall’altro desiderati.

La seconda interpretazione è quella della scuola psicosomatica Riza
L’acne viene qui considerata come un "fuoco" che si disegna sulla pelle in un particolare momento della vita, la pubertà, durante il quale prorompe, sia attraverso gli ormoni che attraverso fantasie ed immagini, il mondo della sessualità. Spesso è possibile osservare, nei giovani affetti da acne, una personalità caratterizzata da un notevole "candore", contrastata però da un atteggiamento eccessivamente adulto, maturo, spesso legato al bisogno di apparire sicuri di sé, indipendenti, già autosufficienti. Il giovane acneico sembra da un lato consapevole di aver subìto un notevole cambiamento di stato, dall’altro, inconsciamente, sembra invece negare tutti quegli aspetti che la trasformazione puberale comporta: in primo piano la comparsa della sessualità. Ecco allora come il volto, simbolo di identità, può trasformarsi in una vera e propria "maschera rossa" mimando così il prorompere dell’eros là dove può essere visto e riconosciuto.

L’acne in età adulta, invece, secondo questa scuola rappresenterebbe qualcosa che è rimasto irrisolto e che continua ad essere espresso a "fior di pelle", qualcosa inerente ancora a temi di "fuoco" (passioni, eros, fantasie) considerati desiderabili da un lato e dall’altro inappropriati se non addirittura colpevoli.

Ecco i sintomi
La zona in cui si presenta maggiormente l’acne è il volto e non sono rare le sue localizzazioni anche sulle spalle e sul torace.

La fase iniziale
E’ caratterizzata dai cosiddetti punti neri (o comedoni); questi sono dei veri e propri "tappi" di cellule o di altre sostanze che occludono lo sbocco di uscita di una ghiandola sebacea. Il risultato è un rilievo cutaneo dato dal rigonfiamento sottostante, dovuto alla secrezione sebacea che non ha più possibilità di scaricarsi all’esterno. Questo ingorgo, come già detto, avviene per l’iperproduzione di sebo da parte della ghiandola sotto gli influssi ormonali.

La seconda fase
E’ detta infiammatoria (o pustolosa), cioè si crea una infiammazione locale cospicua. Si sta qui descrivendo il classico "brufolo", tuttavia nell’acne vi è una moltiplicazione quantitativa del processo. In questa fase, dunque, la cute si riempie di foruncolini gialli, ossia pustole, determinati da colonie di batteri della pelle che infettano le parti occluse dei dotti escretori sebacei.

La terza fase
Quella che la terapia mira ad evitare, viene chiamata nodulocistica. Si possono formare appunto noduli, cioè espansioni molto dure delle pustole che lasceranno inevitabili cicatrici. In età adulta (soprattutto in chi è dedito al fumo e ad alcool, e a volte all’inizio della menopausa) può presentarsi l’acne cosiddetta "rosacea". La differenza con l’acne giovanile sta nella manifestazione iniziale, cioè il volto presenta chiazze rosse con dilatazione dei vasi sanguigni superficiali. Successivamente anch’essa può manifestarsi con la fase pustolosa e quella nodulocistica.

Tutte le terapie
Poiché molteplici sono i fattori considerati causanti l’acne, la terapia è inevitabilmente polivalente. Vediamo come la medicina "ufficiale" interviene per curare questa dermatosi.

Terapia locale
Nella fase iniziale viene sconsigliata la pratica dello schiacciare i punti neri, a meno che non ci si affidi alle mani esperte di un’estetista. Esistono invece prodotti a uso locale che riducono la produzione di sebo e che esfoliano la cute eliminando il cosiddetto "tappo". Sono tutti prodotti derivanti dalla vitamina A, peraltro presente nel fegato, nei cavoli, negli spinaci e, come beta carotene, nelle verdure. Sono disponibili anche creme che agiscono contrastando l’influsso ormonale sulle ghiandole sebacee, prodotti da usare nella fase infiammatoria, però, sotto controllo medico.
Terapia farmacologica sistemica

Due sono i farmaci più comunemente impiegati: gli antibiotici sia a uso locale che ingeriti, finalizzati a debellare la fase infiammatoria-pustolosa; la pillola anticoncezionale, che riduce considerevolmente la produzione ormonale. Per la fase nodulocistca si utilizzano diversi antibiotici, molto potenti che però hanno serie controindicazioni ed effetti collaterali. Occorre pertanto consultare prima il medico.

Terapia chirurgica
In esiti cicatriziali da acne viene impiegato il laser sia per ridurre le infiammazioni che per migliorare le cicatrici. Un altro metodo è la dermoabrasione, cioè attraverso una vera e propria operazione chirurgica si "raschia" lo strato superficiale della pelle per eliminare le cicatrici.

Le cure alternative
Omeopatia
In molti giovani acneici la maschera acneica è un mezzo di protezione da una realtà esterna considerata minacciosa. Esistono buone medicine omeopatiche che riducono appunto la paura del mondo ed il bisogno di autoproteggersi. Esistono inoltre ottime pomate in grado di alleviare i sintomi cutanei.

Fitoterapia
Nelle cure con le erbe la "Bardana", con il "Carciofo", aiuta il drenaggio delle tossine da parte del fegato, è un ottimo antibiotico usata localmente e regolarizza il tasso di zuccheri nel sangue. La "Viola tricolor" (o viola del pensiero) è poi la pianta più specifica per l’acne per i suoi poteri antinfiammatori e decongestionanti.

Agopuntura
Per la medicina cinese l’acne è un "fuoco che cova sotto la pelle" e che non riesce pienamente ad uscire. Due sono le sue principali manifestazioni: la prima è un’acne che presenta molti comedoni ma con scarse pustole, associata a prurito, pelle grassa e irritata, sete di bevande fredde e stitichezza. La seconda è un’acne pustolosa (detta da "calore tossico") associata ad un colore della lingua rosso vivo con patina gialla. In entrambi i casi, oltre al riequilibrio energetico caratteristico dell’agopuntura, si interviene anche localmente con aghi, pomate e decotti di erbe cinesi. Molto utile è l’impiego di una metodica in uso fin dall’antichità nella medicina tradizionale cinese: la coppettazione. Si usano delle coppette di vetro in cui con un fiammifero si ricava il vuoto e che si applicano, in questo caso, in punti della schiena per circa dieci minuti.

Aromaterapia: quali oli essenziali utilizzare
Limone, arancio dolce o amaro, ginepro, cipresso, legno di cedro, bergamotto, melissa, salvia sclarea, lavanda, geranio, rosa, timo bianco, cedro, camomilla, neroli(fiori d’arancio), incenso, mirra, benzoino, elicriso. Essenze dalle proprietà drenanti, decongestionanti, toniche, riequilibranti, cicatrizzanti, rigeneranti.

Fase iniziale: acne comedonica.
La si riscontra principalmente in una persona giovane; la pelle si presenta spessa, compatta ma untuosa. Il colorito è generalmente olivastro, ma non è difficile riscontrarla anche su una pelle chiara: tenderà comunque ad avere un aspetto giallastro a causa delle tossine stagnanti.
Necessita di essere: drenata, ossigenata, riequilibrata.
Si privilegeranno delle essenze scelte tra: limone, arancio dolce o amaro, bergamotto, cedro, ginepro, cipresso, salvia sclarea, melissa.

Seconda fase: infiammatoria (acne volgare o pustolosa)
Necessita di essere: drenata, disinfettata, disinfiammata, cicatrizzata.
Si privilegiano i seguenti oli essenziali: lavanda, arancio dolce, melissa, cedro, bergamotto, cipresso, rosmarino, timo bianco, salvia sclarea, camomilla.

Terza fase: acne nodulistica o cistica.
E' di competenza medica, niente vieta comunque le quotidiane regole di igiene quotidiana e l'applicazione di preparati a base di oli essenziali. In questo caso ottimo è l'olio essenziale di elicriso abbinato al sandalo: l'elicriso è un potente antibatterico e antinfiammatorio, attiva il sistema linfatico che in questo caso è preferibile avere in perfetta efficienza, il sandalo aiuta la rigenerazione dei tessuti favorendo il processo di cicatrizzazione.

Acne rosacea: in questo caso sono indicate essenze dalle proprietà vasoprotettrici e che favoriscono la circolazione, disinfiammatorie, regolatrici della ghiandola sebacea. Si possono abbinare a delle essenze dalle qualità ringiovanenti, in quanto questo tipo di acne la si riscontra più facilmente in pelli già mature. Cipresso, rosa, salvia sclarea, interverranno sulla circolazione; neroli, camomilla, lavanda, addolciscono e disinfiammano; geranio, incenso, mirra, benzoino hanno un potere ringiovanente; una buona sinergia ,quindi, prenderà in considerazione almeno uno di questi gruppi di oli.

Questi suggerimenti non escludono tuttavia l'intervento di una persona esperta che è invece di primaria importanza sia per identificare la tipologia dell'acne con conseguente scelta delle essenze che meglio si addicono alla persona, che per intervenire praticamente: estrazione dei comedoni, pulitura delle pustole , è preferibile vengano effettuate da mani esperte onde evitare non solo un peggioramento della situazione con esiti cicatriziali sgradevoli ma per accelerare il processo di guarigione che in alcuni casi stenta a manifestarsi.
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Quando andare dal medico
In tutti i casi in cui sono presenti numerosi brufoli occorre consultare uno specialista, soprattutto per valutare se la componente ormonale interviene decisamente nella genesi dell’acne.
Nelle fasi iniziali, nelle momentanee remissioni, nell’acne rosacea ed in quella circoscritta a parti del volto sono di grande aiuto le medicine alternative per la loro intrinseca caratteristica di non somministrare sostanze chimiche e di aiutare il riequilibrio del corpo in generale.
Da non dimenticare assolutamente lo specialista dietologo: sarà lui a correggere le incompatibilità alimentari e ad aiutare l’apparato intestinale ad eliminare le tossine.

Dieci regole da osservare
Mai schiacciare brufoli e punti neri. Per i punti neri occorre l’intervento di un’estetista. Con i brufoli si corre invece il rischio di espandere l’infezione ad altre parti della pelle

Lavarsi il viso con acqua calda. Il calore, anche attraverso saune e suffumigi, aiuta a liberare la pelle di parte del sebo in eccesso

Attenzione al sole. Il sole migliora l’acne, però può seccare la pelle ed in questo caso le ghiandole sebacee per reazione producono più sebo

Non utilizzare saponi sgrassanti. Il sebo in questo caso viene prodotto per reazione in maggior quantità. Utilizzare invece detergenti a pH acido

Assumere vitamine del gruppo A, C ed E che nutrono e rinforzano la pelle
Fare maschere di argilla, soprattutto nei momenti di remissione. In questo caso si usa l’argilla verde ventilata

Evitare il cosiddetto Fast Food. Hamburger, patatine, le bevande zuccherate, i pasti irregolari sono tutti nemici giurati della pelle

Privilegiare nella dieta i cereali integrali, l’olio di oliva, lo yogurt, verdure e frutta fresche, le proteine che derivano da pesce e carni magre

Bere molta acqua non gassata. E’ sempre il modo migliore per idratare la pelle

Attenzione ai capelli lunghi. Se non sono perfettamente puliti possono facilitare le infezioni batteriche. Tante volte la frangetta sembra favorire l’acne sulla fronte

giovedì 6 marzo 2008




PRENDIAMOCI CURA DEL NOSTRO CUORE

Un formidabile metronomo. Tosto come un maratoneta. Programmato per segnare mediamente centomila passi al giorno. Significa che, con ritmica e incessante caparbia, batte circa due miliardi e mezzo di volte in 70 anni di vita. E a un motore così servizievole voi non dedichereste la massima cura? Eppure, la Fondazione italiana per il cuore sciorina dati neri. In Italia, le malattie cardiovascolari rappresentano il 42% delle cause di morte, ma anche la più importante fonte di disabilità e ridotta qualità di vita. La gente ancora poco s’informa sui fattori che predispongono la pompa cardiaca a ingolfarsi. Per capirsi: il 35% degli uomini e il 47% delle donne non svolgono alcuna attività fisica. Tranquilli, però. I soliti sospetti, ovvero la sedentarietà, ma pure le impennate della pressione sanguigna, le cattiverie del colesterolo, le bizze dello zucchero nel sangue sono fattori manipolabili. Modificabili. Perché vero è che ognuno di noi possiede un proprio corredo genetico che influenza, fin dalla nascita, le prestazioni cardiache e dei tubi arteriosi, ma è fuor di dubbio che tanto dipende poi da noi. Dipende dal trattamento generoso che andiamo a riservare nella vita di tutti i giorni a quell’infaticabile motorino.

CUORE FA RIMA CON DOTTORE
Chi l’ha detto che basta un elettrocardiogramma ogni tanto per sorvegliare come si deve l’attività cardiaca? I tempi sono cambiati. «La prevenzione, rapida, efficace ed economica, si chiama oggi ecografia», spiega Paolo Biglioli (Paolo.Biglioli@ok.rcs.it), chirurgo cardiovascolare e direttore scientifico del Centro cardiologico Monzino di Milano. «Basterebbe, a 50 anni, sottoporsi a un ecodoppler carotideo per fotografare all’istante il benessere vascolare. Il medico fa scorrere sul collo una sonda in grado di emettere ultrasuoni che, riflessi dalle varie strutture anatomiche, creano sul monitor l’immagine delle arterie carotidi. Un accertamento che consente di vedere eventuali restringimenti e incrostazioni aterosclerotiche ancora silenziose». Quindi, utile per individuare quelle persone che, più di altre, potrebbero beneficiare di qualche immediata dritta dietetica o farmacologica. Importante, per giocare d’ anticipo contro l’infarto, anche un’ecocardiografia, sempre giunti alla boa della cinquantina. «È l’esame del cuore nella sua interezza», aggiunge Biglioli. «Il paziente si sdraia sul lettino, il medico poggia la solita sonda sul torace e in una ventina di minuti diventa possibile collezionare una ricca gamma di dati, come lo spessore delle pareti del ventricolo sinistro, l’aspetto e i movimenti delle valvole cardiache e i flussi sanguigni che attraversano le aperture valvolari. Questi appuntamenti ecografici andranno anticipati a 35-40 anni, se qualche parente stretto ha subito un infarto oppure se si fuma, si soffre di diabete o si pesa troppo».

CUORE FA RIMA CON SUDORE
L’attività fisica moderata piace al cuore: brucia calorie (e la pancetta), abbassa la pressione arteriosa, innalza la quota buona (Hdl) del colesterolo, migliora la circolazione periferica. In che modo darsi una sana mossa? «Bastano 30-40 minuti di esercizio aerobico tre volte a settimana», risponde Diego Vanuzzo (Diego.Vanuzzo@ok.rcs.it), direttore del Centro di prevenzione cardiovascolare dell’Asl 4 di Udine. «Significa camminare a passo svelto, passeggiare in bicicletta in pianura, praticare il nuoto e lo sci di fondo, ma a un livello d’intensità Che risulti compatibile con il metabolismo chiamato aerobico. Livello che può essere facilmente riconosciuto da ciascuno: quando non si riesce più a parlare fluidamente durante l’ esercizio fisico, ebbene, significa che si è oltrepassata la soglia aerobica». Suggerimento tecnico: nel corso dell’attività sportiva,è consigliabile non superare il 70% della frequenza cardiaca massima teorica. «Si calcola sottraendo la propria età dal valore fisso 220», continua Vanuzzo. «Ovvero: in un individuo di 50 anni, la frequenza massima teorica è pari a 170 battiti al minuto (220-50), mentre la soglia aerobica equivale a 120 battiti al minuto (il 70% di 170). Non svolgono, invece, un effetto protettivo sul cuore gli impegni fisici brevi e violenti, durante i quali l’organismo non usa ossigeno (definiti anaerobici). Per le persone con fattori di rischio, attenzione alle corse veloci, alle partite di tennis agonistiche. E poi no al sollevamento pesi e all’immersione in apnea». Il momento migliore per muoversi? Al mattino, prima del lavoro o in pausa pranzo, lontano almeno due ore dai pasti.

CUORE FA RIMA CON SAPORE
Le medicine non si trovano solo nei blister. Anche il cibo è un farmaco. «Una dieta ben equilibrata può contrastare il sovrappeso, ridurre la frazione Ldl (cattiva) del colesterolo, tenere a bada i trigliceridi, contenere i rialzi della pressione e mantenere nei ranghi la glicemia», spiega Andrea Poli (Andrea.Poli@ok.rcs.it), direttore scientifico della Nutrition foundation of Italy e della Fondazione italiana per il cuore. «Date la preferenza ai cibi di origine vegetale. Frutta, legumi e verdura non contengono quei famigerati grassi saturi che tendono a innalzare i livelli del colesterolo nel sangue. Usate olio extravergine d’oliva o di mais, limitando burro, lardo e panna. Preferite la carne magra (tre-cinque volte a settimana): pollo, tacchino, cavallo, struzzo, coniglio e tagli magri di manzo». Un grande sì al pesce: salmone, sgombro e pesce azzurro, da consumare almeno tre-quattro volte a settimana. «Contengono i grassi polinsaturi Omega-3 che, pur non abbassando il colesterolo, come molti credono, tendono a migliorare la fluidità del sangue, proteggendo da infarto e trombosi», prosegue Poli. «Sì alla ricotta e a piccole porzioni di Parmigiano, chi ama il latte opti per quello parzialmente scremato. Tra i salumi (non più di due volte alla settimana), prosciutto crudo privato del grasso visibile e bresaola (che in realtà è un affettato, trattandosi di carne di manzo o di cavallo)».

CUORE FA RIMA CON RIGORE
Occhio alla pressione. È doc se non supera i 140 la sistolica (o massima, cioè la spinta che il sangue esercita sulla parete delle arterie quando il cuore si contrae), e se non oltrepassa i 90 la diastolica (o minima, la forza che resta nei tubi arteriosi quando il muscolo cardiaco si rilascia). Tenerla entro questi paletti significa ridurre il rischio di infarti e ictus. Come ci si accorge di essere ipertesi? «Semplice: occorre controllare la pressione», spiega Gianfranco Parati (Gianfranco.Parati@ok.rcs.it), primario di cardiologia all’ospedale San Luca dell’Istituto auxologico italiano (riconosciuto Centro europeo di eccellenza per l’ipertensione). «La misurazione in farmacia? Ben venga, ma spesso si è colti dall’agitazione e i valori possono risultare più elevati. Allora meglio la verifica della pressione a casa propria, magari in collaborazione con il medico di famiglia, che aiuterà a interpretare i valori. Esistono affidabili dispositivi elettronici per l’accertamento. Che però va eseguito con tutti i crismi: in un ambiente non rumoroso, standosene seduti per qualche minuto a occhi chiusi e dopo due profonde respirazioni. Bastano un paio di controlli, intervallati da due-tre minuti. E, se le prime due rilevazioni differiscono molto, si proceda con una terza, calcolando il valore medio». Domanda tormentone: a stomaco pieno o vuoto? «Meglio vuoto», risponde Parati. «Un apparato digerente impegnato da un abbondante pasto ruba una certa quantità di sangue, sottraendola ad altri distretti del corpo. E, in queste circostanze, si potrebbe accusare un certo abbassamento della pressione, specie negli anziani». Chi sta bene dovrebbe sottoporsi a un controllo della pressione ogni sei mesi o almeno una volta all’anno. E, attorno ai 50-60 anni, la misurazione andrà eseguita una volta al mese.

CUORE FA RIMA CON AMORE
Ma è vero che un amore può spezzarti il cuore? Ahinoi, sì. «Non è raro il caso di persone, soprattutto over 50, che dopo la fine drammatica di una storia sviluppano tachicardia, fibrillazione atriale o ipertensione», dice Edoardo Gronda (Edoardo.Gronda@ok.rcs.it), cardiologo dell’istituto Humanitas di Rozzano (Milano). «In genere avviene quando lo stress si sovrappone a una debolezza preesistente. In questi casi, una visita dallo specialista è obbligatoria». Perché una delusione d’amore comporta tensioni altissime. Dunque non bisogna innamorarsi? Ci mancherebbe. Diciamo: maneggiare con cura. Lo stress dannoso per il cuore può anche essere quello che si accumula in ufficio o in fabbrica. Una delle ricerche più recenti, pubblicate sull’European heart journal, ha tenuto sotto controllo per 12 anni diecimila funzionari pubblici britannici, misurando la funzionalità del loro sistema circolatorio (e di quello nervoso ed endocrino). Ebbene, gli studiosi hanno verificato che i funzionari sottoposti a condizioni di stress particolarmente forte avevano manifestato un rischio di sviluppare problemi cardiaci superiore del 70% rispetto agli altri. Perché avviene? Lo stress prolungato altera impulsi nervosi e una serie di circuiti ormonali, con effetti che si riverberano sul cuore. La prevenzione? Aggirare le tensioni, ovvio. E se l’ansia è eccessiva chiedere aiuto a uno psicologo, che potrà utilizzare una terapia cognitivo-comportamentale. Ma anche terapie dolci come lo yoga possono servire a rilassarsi.

Testo di Edoardo Rosati


Ok La salute prima di tutto - N°03 - Marzo 2008

domenica 2 marzo 2008


Ciao a tutti, voglio trattare oggi un problema piuttosto diffuso nell’universo femminile:

CAUSE EREDITARIE ED AMBIENTALI DELLA POLICISTOSI OVARICA

L'aspetto dell’ovaio è un segno essenziale della sindrome dell’ovaio policistico (PCOS) che associa anche una serie di disturbi biochimici quali elevate concentrazioni plasmatiche di LH androgeni, insulina e una diminuita sensibilità all’azione insulinica. Le pazienti con policistosi ovarica sono spesso obese. Dal momento che l’insulino-resistenza nelle pazienti è in prevalenza un fenomeno extrasplancnico in genere i valori glicemici si mantengono normali. I sintomi sopra descritti sono presenti in circa il 10% delle donne sicché la sindrome dell’ovaio policistico appare il più frequente disturbo endocrino della giovane donna. A fronte di una elevata prevalenza di un’anomala morfologia ovarica (oltre il 20%) i segni clinici possono essere scarsi ed in particolare non è riportato un sistematico effetto negativo della policistosi sulla fertilità; infatti uno studio controllato condotto su pazienti sottoposte a fecondazione in vitro non ha trovato significative differenze tra le quote di gravidanze indotte nelle donne normali e nelle pazienti portatrici della sindrome (Mac Dougall e coll., 1993). Tuttavia altri studi hanno trovato una consistente prevalenza di sterilità sia primaria che secondaria; è stata inoltre riportata una elevata quota di aborti spontanei associata alla presenza di PCOS in soggetti con elevati valori circolanti di LH. Considerata l’elevata prevalenza dei soggetti affetti, da molti anni ormai si sospetta una base genetica della sindrome. Questa ipotesi è stata valutata nel corso di diversi studi sul fenotipo PCOS in popolazioni diverse.

Studi condotti su razze diverse
Una ricerca in California (Carmina e coll., 1992) ha studiato 75 pazienti con policistosi ovarica provenienti da tre diversi gruppi etnici ed ha trovato che mentre obesità e irsutismo variano in base a fattori ambientali, nei diversi gruppi etnici rimane uniforme l’incidenza di eccessiva produzione di androgeni e di insulino-resistenza. Più recentemente però altri studi hanno dimostrato che etnicità e fenotipo PCOS si comportano come difetti indipendenti e additivi capaci di condizionare l’attività insulinica. Una recente indagine indica nel fenotipo PCOS il fattore di rischio più importante rispetto a etnia o razza per la diminuita tolleranza al glucosio (Legro e coll., 1999).

Studi sui gemelli

La sindrome dell’ovaio policistico è stata occasionalmente riportata in gemelli monozigoti. Uno studio australiano ha dimostrato un’incidenza di PCOS in entrambe le coppie di 34 gemelli. D’altra parte l’elevato grado di discordanza nell’immagine sonografica ovarica tra gemelle suggerisce una complessa trasmissione ereditaria e/o un importante ruolo di fattori ambientali capaci di modificare l’espressione del segnale genetico. Gli stessi autori, per spiegare l’elevata prevalenza di sindrome dell’ovaio policistico nelle gemelle, hanno suggerito l’esistenza di fattori capaci di agire durante la vita intrauterina (Jahnfar e coll., 1995).

Studio di famiglie PCOS

L’aspetto policistico dell’ovaio, le irregolarità mestruali e l’insulino- resistenza sono stati i sintomi presi in considerazione nei diversi studi in cui si è ricercata una trasmissione familiare della sindrome. Unica caratteristica somatica dei maschi affetti è invece risultata la presenza di una calvizie precoce. Gli studi riportati nella tabella 1 hanno dimostrato una significativa prevalenza della PCOS nelle parenti di 1° grado delle pazienti affette. Due accurati studi sulla presenza della sindrome negli ascendenti e nei collaterali suggeriscono entrambi che l’eredità PCOS venga trasmessa in accordo ad un modello autosomico dominante (Franks e coll., 1997; Govind e coll., 1999).

Meccanismi della trasmissione ereditaria


A) Iperandrogenismo

1 – Per eccessiva attività dell’ovaio Nelle pazienti con policistosi le cellule della teca ovarica producono una quota eccessiva di progesterone e di androgeni. Questo rilievo ha suggerito di studiare il comportamento del gene responsabile del distacco della catena laterale del colesterolo (CYP 11a) quale possibile responsabile dell’anomala steroidogenesi. Così nel 1997 Gharani e collaboratori studiando la segregazione di detto gene nelle pazienti con PCOS hanno potuto rilevare come il suo più comune polimorfismo (indicato come 216-) sia associato alla sindrome. L’analisi non parametrica di linkage eseguita in tale regione del genoma ha confermato che il gene CYP11a è il vero determinante della suscettibilità genetica per questo tipo di iperandrogenismo presente in molte pazienti affette da policistosi ovarica.
2 – Per eccessiva attività di ovaio e surrene L’eccessiva produzione di androgeni da parte delle pazienti con PCOS può essere anche attribuita all’aumento dell’attività enzimatica svolta dal citocromo P450 C17a. L’iperfosforilazione della serina nella molecola dell’enzima stimola significativamente l’attività steroidogenetica sia a livello ovarico sia a livello surrenalico causando un aumento della produzione di androgeni senza peraltro modificare le quote di ACTH (Zhang e coll., 1995).

B) Insulino-resitenza
L’insulino-resistenza è un’altra caratteristica metabolica frequentemente riscontrata nelle pazienti con sindrome dell’ovaio policistico. Il difetto metabolico è riferibile ad una ridotta funzionalità del recettore insulinico sostenuta anche questa da una iperfosforilazione dei residui serinici del recettore. La sua eccessiva fosforilazione attenua infatti il segnale endocrino dell’ormone e stabilisce così una situazione di insulino-resistenza (Holte, 1996). In sostanza quindi lo stesso meccanismo di iperfosforilazione, che a livello del citocromo P450 C17 induce iperandrogenismo ovarico e surrenalico, può, modificando l’attività del recettore per l’insulina, spiegare anche l’insulinoresistenza. Un singolo difetto molecolare è quindi capace di spiegare due dei principali disturbi della sindrome associata alla policistosi ovarica.

C) Iperinsulinemia

L’eccessiva produzione di insulina da parte del pancreas è spesso presente nelle pazienti con ovaio policistico e risulta essere uno dei più seri fattori di rischio per la futura comparsa di un diabete non insulino-dipendente. L’eccessiva attività incretoria delle beta cellule non dipende dall’obesità e nella maggior parte delle pazienti PCOS non è associata a diminuita intolleranza al glucosio. Di recente alcune ricerche hanno studiato il comportamento del gene che regola l’increzione di insulina in pazienti portatrici di PCOS. Si è così visto che in corrispondenza della regione VNTR5" del gene per l’insulina esiste una associazione tra gli alleli di classe III e la condizione PCOS (Bennet e coll., 1995). Stesso risultato ha fornito un’analisi di linkage condotta su famiglie con eredità PCOS. Si è potuto così concludere che la regione VNTR5" del gene per la secrezione dell’insulina rappresenta il locus responsabile per la iperinsulinemia associata alla sindorme dell’ovaio policistico (Waterworth e coll., 1997).

PCOS : fattori ambientali


A) Fattori prenatali
Nel 1997 Cresswell e collaboratori hanno studiato le caratteristiche delle gravidanze da cui nascono donne che in seguito sviluppano PCOS. Gli autori hanno potuto così suddividere le pazienti con policistosi ovarica in due gruppi. Il 1° gruppo era caratterizzato da soggetti nati sovrappeso da madri obese, il 2° gruppo comprendeva invece soggetti partoriti di peso normale ma oltre il termine fisiologico di gravidanza. Sulla base di queste osservazioni gli autori ipotizzano che durante la vita intrauterina due siano le circostanze capaci di favorire lo sviluppo di una PCOS post natale: l’obesità materna e/o l’elevato peso alla nascita potrebbero infatti condizionare infatti l’eccessiva produzione ovarica di androgeni e l’obesità post natale; nelle pazienti PCOS nate normopeso, ma da una gravidanza protratta, questa situazione potrebbe invece condizionare un difettoso controllo della secrezione LH in età adulta.

B) Fattori post natali
- Anovulazione
Un ruolo causativo dell’anovulazione cronica per la sindrome dell’ovaio policistico è suggerita da vari meccanismi fisiopatologici che coinvolgono la secrezione di LH, di androgeni e la produzione epatica di SHBG.

- Obesità

L’obesità è un fattore di rischio indipendente per l’anovulazione cronica e la distribuzione del grasso di tipo “centrale” sembra essere più importante che lo stesso sovrappeso (Zaadstra e coll., 1993). Nelle donne obese i due principali meccanismi che sostengono l’anovulazione sono gli stessi attivati dalla sindrome dell’ovaio policistico:
1) eccessiva secrezione di LH e di androgeni;
2) iperinsulinemia e insulino-resistenza.


Fra i due meccanismi endocrini esistono stretti legami. Il digiuno, infatti, anche se di breve durata, riduce la secrezione di LH nelle donne di peso normale (Olson e coll., 1995). Nelle pazienti sovrappeso la restrizione calorica riduce i livelli di insulina circolante e aumenta le concentrazioni di SHBG (Kiddy e coll., 1992). Nelle pazienti con obesità grave il recupero del peso normale, dopo gastroplastica, normalizza i valori di glicemia e insulinemia. Al contrario nelle pazienti con PCOS l’obesità peggiora la sindrome. In particolare l’insulino-resistenza risulta correlata con l’indice di massa corporea, mentre la riduzione ponderale nelle pazienti obese con policistosi ovarica diminuisce l’iperincrezione LH e ristabilisce una normale sensibilità all’insulina. Dati sperimentali suggeriscono anche l’esistenza di meccanismi a controllo genetico capaci di modificare il senso dell’appetito, la percezione del peso corporeo e la funzione riproduttiva.

FONTE:
Piergiorgio Crosignani
Direttore del Dipartimento Ostetricia e Ginecologia I.C.P Milano

sabato 1 marzo 2008


SESSUALITA' AL FEMMINILE

Desiderio e ormoni: un incontro-scontro a tutte le età
Gli uomini per una volta tanto saranno d’accordo: quando si ha a che fare con le donne, niente è mai semplice come sembra. Tutto ciò che fa parte dell’universo femminile è complesso, multidimensionale e forse proprio per questo così affascinante... e difficile da penetrare. Il meccanismo che governa il desiderio sessuale non fa eccezione, attraversato com’è da una fitta rete di variabili: biologiche prima di tutto, ma anche psicologiche, relazionali, ambientali e socio-culturali. È certo, però, che la componente ormonale detta non poche leggi nella sfera del desiderio sessuale: da quando fa capolino nell’adolescenza a quando scompare in menopausa. A conferma che, in un modo o nell’altro, gli ormoni c’entrano sempre. La dottoressa Nappi ci aiuta a capire il loro ruolo chiave negli anni fertili della vita una donna, perché la menopausa merita un capitolo a parte.
QUAL’E’ IL MECCANISMO CHE FA SCATTARE IL DESIDERIO SESSUALE NELLE DONNE?
È un meccanismo triplice, perché le radici del desiderio sessuale femminile sono sia biologiche sia, come diciamo noi medici, intrapsichiche e interpersonali. Ciò significa che il desiderio dipende dalla biologia, dalla psicologia, dalla relazione e anche dal contesto socio-culturale. Sul fronte biologico, il desiderio è regolato da un complesso meccanismo “neuro-endocrino”, dominato da una serie di sostanze (neurotrasmettitori e neuromodulatori) attivate dal cervello: la principale è la dopamina, il neurotrasmettitore che spinge verso il partner, che induce cioè a cercarlo. Ma questo meccanismo, a sua volta, è profondamente influenzato dagli aspetti ormonali, che cambiano a seconda delle tre fasi della vita di una donna: adolescenza, età fertile e menopausa.

QUALI SONO GLI ORMONI CHIAMATI IN CAUSA NEL PIACERE FEMMINILE?
Gli estrogeni, gli ormoni femminili per eccellenza, ma soprattutto gli androgeni, cioè gli ormoni maschili, ben presenti anche nelle donne. Questi ormoni agiscono a tutti i livelli del sistema nervoso centrale: a livello della corteccia cerebrale, a livello delle aree “limbiche”, che governano le emozioni, e a livello delle aree ipotalamiche, che sovrintendono molte funzioni vitali, come il ritmo sonno-veglia, il senso di fame-sazietà, i cicli riproduttivi...

IN PAROLE SEMPLICI, COME AGISCONO ESTROGENI E ANDROGENI?
Stimolano e attivano i centri cerebrali capaci di tradurre una fantasia, un pensiero o un desiderio erotico in una risposta anche fisica. Naturalmente questa risposta fisica si propaga a tutto il corpo della donna, concentrandosi nelle aree più sensibili alla sessualità, tra cui i genitali, il seno, la pelle.

Nell'adolescenza

È LA STAGIONE DELLE FAMOSE "TEMPESTE ORMONALI". SPESSO, PERÒ, LE FANCIULLE IN FIORE SI LAMENTANO DI NON PROVARE DESIDERIO. PAURA? IMMATURITÀ? ORMONI IMPAZZITI?
È proprio così, eppure nell’adolescenza, la componente biologica dovrebbe prendere il sopravvento, perché è presente in tutta la sua potenza, gli ormoni sono a mille... basti pensare che una donna di 20 anni ha almeno il doppio degli ormoni androgeni presenti in una donna di 40 e la natura non fa mai nulla a caso.

CHE COSA SUCCEDE, ALLORA, A DISPETTO DI QUESTA MOLE DI ORMONI?
Da un lato domina un modello culturale, che spinge l’adolescente a fare sesso a tutti i costi per dimostrare di essere donna, di essere adulta, di essere entrata nel mondo della società. Dall’a ltro lato c’è una difficoltà enorme a mettere insieme tutte le componenti della sessualità: biologica, psicologica e relazionale. È vero, infatti, che gli ormoni sono alle stelle, ma poi l’a dolescente deve confrontarsi con un partner non necessariamente maturo e con le componenti intrapsichiche e relazionali proprie di questa età. Una ragazza con un’immagine corporea di sé negativa (sono grassa, ho il seno piccolo, i brufoli...), per esempio, sarà bloccata sul fronte sessuale e tenderà a evitare di mostrare il proprio corpo al partner. In un momento in cui l’i stinto dovrebbe essere tutto, l’autostima e gli aspetti psicologici spesso ancora acerbi la fanno da padrone, anche a causa dei primi rapporti sempre più precoci.

ALTRA SITUAZIONE TIPICA: LA RAGAZZA ALLE PRIME ARMI PROVA DESIDERIO, RAGGIUNGE L'ECCITAZIONE, MA NON L'ORGASMO. COLPA ANCORA DI QUESTI PARTNER IMMATURI?
I partner-ragazzini danno tutto per scontato, sono poco attenti o non sono ancora pronti ad attivare gli stimoli sessuali della compagna. A ciò si può aggiungere qualche difficoltà biologica, per esempio piccoli effetti collaterali sulla libido che la pillola contraccettiva può portare con sé, come la diminuzione della lubrificazione. Mettiamo insieme questi elementi: la parte biologica traballa, la parte intrapsichica è immatura – cioè manca ancora la capacità di capire cosa piace o non piace, di riconoscere il desiderio – e il partner o è troppo giovane, e dunque non ha capito niente di quello che deve fare, o è troppo grande, e fa scattare sentimenti di inadeguatezza, le famose ansie da prestazione... In fondo la mancanza di orgasmo è soltanto frutto di una sorta di analfabetismo sessuale.

E GLI ORMONI NON C'ENTRANO? MOLTE RAGAZZINE SOFFRONO DI SQUILIBRI ORMONALI PIÙ O MENO PESANTI, CHE SI TRADUCONO IN PELLE GRASSA, ACNE, IRSUTISMO...
Certo che c’entrano. Tante ragazze soffrono di alterazioni ormonali, ma non hanno tutte gli stessi effetti. In quelle da sovrabbondanza di androgeni, che portano seborrea, irsutismo, sovrappeso, il desiderio è intatto, mentre in quelle da blocco mestruale, il desiderio sessuale è ridotto. Al limite le prime avranno blocchi psicologici di altro tipo, perché non si piacciono, hanno paura di non piacere, si vergognano a mostrarsi, ma la libido c’è, perché è garantita dall’a bbondanza di ormoni androgeni.

QUALI CONSIGLI DÀ ALLE GIOVANI PAZIENTI CHE LE CONFESSANO: "DOTTORESSA, NON HO DESIDERIO" O "NON RIESCO A RAGGIUNGERE L'ORGASMO"
È raro che il desiderio manchi del tutto e se questo succede occorre indagare. Più frequente è la difficoltà di raggiungere l’orgasmo e questo, ancora una volta, chiama in causa diversi fattori. I ragazzi non hanno sempre a disposizione gli spazi e i tempi dell’amore indispensabili per un sesso di qualità. È, dunque, importante spiegare alla ragazza che non esiste un pulsante che fa scattare l’orgasmo, bisogna insegnarle l’anatomia e la fisiologia dei genitali, occorre trasmetterle la capacità di auto-percepire il piacere, è importante farle capire che l’orgasmo presuppone un totale abbandono al compagno, ma che per abbandonarsi ci vuole una grande fiducia. Amore, certo, ma soprattutto fiducia.

Nell'età fertile

LA FANCIULLA IN FIORE È SBOCCIATA, ORA HA UN BAGAGLIO SESSUALE RICCO DI ESPERIENZE. QUALI SONO GLI ORMONI CHE REGOLANO LA SESSUALITÀ IN ETÀ FERTILE?
Gli ormoni sono sempre gli stessi, la differenza è che in questo periodo c’è una più chiara alternanza di fasi in cui il desiderio è più marcato e fasi in cui è più ridotto. Per esempio durante le mestruazioni, a forte predominanza androgenica, il desiderio è ben più forte rispetto al periodo premestruale, quando invece è il progesterone a essere alto. L’altro grande momento del desiderio è l’ovulazione, quando gli estrogeni “spingono” in senso riproduttivo. Dopo i 40 anni, quando lentamente il potere fertile si abbassa, l’ovulazione diventa meno efficiente e queste alternanze ormonali si fanno sentire di meno. Ma spesso la vita della donna oberata di impegni è ancora più pesante.

QUESTO COME SI TRADUCE A LIVELLO CHIMICO?
Nella produzione di cortisolo, l’ormone che rende attivi, ma che prodotto in eccesso affatica, porta stress. Nel maschio, il cortisolo prodotto a livelli elevati può addirittura potenziare la sessualità e il rapporto ha un effetto calmante, mentre nella donna avviene tutto il contrario: il cortisolo la blocca e per lasciarsi andare al sesso deve prima calmarsi, scrollarsi di dosso lo stress... Impresa ardua tra il lavoro, i figli, la casa, la famiglia, i genitori anziani... niente di più facile che metta un po’ da parte la sessualità. E per recuperarla deve trovare delle motivazioni forti.

UN PROBLEMA DI TESTA E DI TESTOSTERONE?
È sempre una questione biochimica, ma la testa ha un ruolo chiave nel desiderio. Allora occorre capire che cosa c’è che non va: bisogna sdrammatizzare, ma senza prendere sottogamba un desiderio latitante. Spesso dietro si nasconde un disturbo d’ansia che la donna cova in silenzio, legato alla stanchezza, alla difficoltà di mettere insieme tutti i pezzi della sua esistenza.

LA GRANDE RIVOLUZIONE ORMONALE IN GRAVIDANZA REMA CONTRO O A FAVORE DEL PIACERE?
Il desiderio è al top. Sono documentati i sogni erotici, persino gli orgasmi spontanei legati alla cascata ormonale che travolge la donna nei 9 mesi, con livelli di ormoni circa venti volte più alti. Ma spesso le paure hanno la meglio sul desiderio. Paura di perdere il bambino, di fargli male. Qui le componenti intrapsichiche prendono il sopravvento. Purtroppo... perché vivere fino in fondo il desiderio potrebbe regalare alla donna sensazioni meravigliose senza nuocere al bambino, anzi: durante le contrazioni dell’orgasmo viene rilasciata l’ossitocina, una sostanza fondamentale anche durante il parto e l’allattamento.
A cura di Alma Galeazzi
Gli ormoni del piacere
Abbiamo chiesto alla dottoressa Nappi di presentarci questi famosi ormoni coinvolti nel desiderio sessuale femminile. «Innanzitutto le donne sono organismi che “vanno” a estrogeni, ormoni che hanno un ruolo importante nel darci il nostro senso di identità femminile, ma che hanno anche il compito di modulare, a livello del sistema nervoso centrale, una serie di sostanze che ci danno la consapevolezza che stiamo vivendo una sensazione positiva a contenuto sessuale. Tuttavia – prosegue la dottoressa Nappi – gli ormoni che spingono verso l’atto sessuale, che fanno scattare il desiderio sono gli androgeni, che nell’organismo femminile sono molto più numerosi di quanto non si pensi, anzi: sono presenti in quantità maggiori rispetto agli estrogeni!». Mi viene da chiedere: ma come, testosterone & Co. non sono gli ormoni “maschili” per eccellenza? E invece... La dottoressa Nappi chiarisce subito: «Gli androgeni sono presenti in dosi massicce proprio perché devono garantire la spinta verso l’uomo, che è poi la spinta verso la riproduzione, non dimentichiamoci poi che nella donna si trasformano in estrogeni». Ok, ma ci sono altri ormoni del piacere? «Sì, intervengono a modulare la risposta sessuale anche il progesterone e i progestinici contenuti nelle pillole contraccettive. Il progesterone blocca Il desiderio sessuale, cioè ha un effetto calmante e questo non stupisce. Basta pensare al ciclo mestruale: c’è un picco di androgeni prima dell’ovulazione, un picco di estrogeni durante l’ovulazione, quando deve essere più forte il desiderio per favorire la riproduzione, e un picco di progesterone dopo l’ovulazione, quando la donna ha bisogno di calma, perché non è più fertile o è diventata mamma». E in gravidanza si ha un gran bisogno di calma, relax, riposo.