lunedì 29 dicembre 2008


Anoressia e bulimia non si risolvono con lo sport

Chi soffre di disturbi alimentari deve evitare danza, ginnastica artistica, atletica leggera e ciclismo: peggiorano le cose

Non è proprio vero che lo sport faccia bene a tutti. Ad alcune persone potrebbe addirittura risultare controproducente: sono coloro che soffrono di disturbi dell’alimentazione come anoressia o bulimia. Queste persone di solito sono portate ad abusare della palestra o dell’attività sportiva in genere per mantenersi in forma in maniera ossessiva. Risultato: il movimento diventa una sorta di strumento di autolesionismo.
"Gli sport più a rischio sono la danza, la ginnastica artistica, l'atletica leggera e il ciclismo", spiega Laura Dalla Ragione, psichiatra e coordinatrice del comitato congiunto dei ministeri del Welfare e della Gioventù, incaricato di mettere in campo azioni di contrasto ai disturbi del comportamento alimentare. "La danza, la ginnastica e l'atletica sono le attività a maggior rischio di ‘ossessione’ legata alla forma fisica perfetta e alla magrezza. Nel ciclismo, poi, unito al rischio legato al doping, è presente anche il pericolo di cadere nella morsa dei disturbi alimentari”.
I disordini alimentari sono ormai un autentico fenomeno diffuso purtroppo in modo trasversale alle fasce sociali e alle età. "Si tratta”, dice ancora Dalla Ragione, “di un'epidemia sociale e globalizzata che si sta diffondendo a macchia d'olio, ed è per questo che sono importanti gli interventi messi in campo per contrastarla". Nella danza, ad esempio, verrà attivato dal ministero del Welfare un progetto sperimentale di formazione ad hoc per gli insegnanti, che verranno sensibilizzati a controllare i loro allievi e a contrastare l'insorgenza di anoressia o bulimia.

martedì 16 dicembre 2008


MAIALI E MUCCHE ALLA DIOSSINA, E' VERO PERICOLO?

Il rischio è molto basso. L’Italia importa dall’Irlanda solo lo 0,3% della carne. E la rete di controlli si è sempre dimostrata efficiente

Torna l’allarme contaminazioni alimentari. Questa volta tocca alla carne, dopo la scoperta che partite (di suini e bovini) alla diossina provenienti dall’Irlanda sono state esportate in una ventina di Paesi Ue, tra cui l’Italia. Ma com’è davvero la situazione, quanto rischiamo?

A conferma del fatto che la rete di controlli esistenti su tutto il territorio nazionale è molto efficace, è stato subito diramato l'allerta a tutti gli Assessorati alla sanità regionali con l'obbligo di rintracciare e sequestrare a scopo cautelativo tutte le carni suine irlandesi e prodotti eventualmente trasformati, introdotti in Italia a partire dal 1 settembre scorso. Le indagini sono svolte dai Carabinieri per la tutela della salute.

Sembra che le partite di carne irlandese sul nostro territorio siano solo 22. Il pericolo è dunque molto circoscritto, soprattutto in considerazione del fatto che l’Italia importa dall’Irlanda solo lo 0,3% del totale delle carni. Secondo La Confederazione italiana degli agricoltori (Cia) “i controlli sono rigidi e quotidiani. E la nostra produzione è di altissima qualità, sottoposta in ogni fase della filiera a verifiche e test rigorosissimi”. I consumatori possono dunque "mangiare tranquillamente la carne suina nazionale. Anche quest'ultima vicenda pone l'esigenza dell'estensione dell'indicazione d'origine in etichetta per tutte le produzioni, uno strumento fondamentale che garantisce sia i consumatori che gli stessi produttori agricoli".

Sulla stessa lunghezza d’onda la Coldiretti, secondo cui la rete di controlli presenti in Italia è sicura ed efficiente. L’obbligo poi di indicare la provenienza in etichetta, fa il resto: “I consumatori possono riconoscere direttamente sugli scaffali la carne bovina proveniente dall’Irlanda. Per non rincorrere le emergenze, sostiene la Coldiretti, occorre estendere a tutti gli alimenti l’obbligo di un sistema di etichettatura che indichi la provenienza (lo stato di nascita, di allevamento e di macellazione) proprio come è stato già fatto per quella di pollo e per quella bovina dopo le emergenze aviaria (2005) e mucca pazza (2002). Informazioni che mancano ancora per la carne di maiale.

Che fare, dunque? Consumare carni suine italiane, che, spiega Coldiretti, “sono riconoscibili da marchi di qualità come il Gran Suino Padano (GSP) per il prodotto fresco o da quelli europei a denominazione di origine per i salumi. Ma c’è in molti casi anche l’opportunità di acquistare direttamente in molti dei cinquemila allevamenti di maiali presenti in Italia”.

lunedì 8 dicembre 2008


PRENDIAMO TROPPI ANTIBIOTICI E LI USIAMO MALE

Un milione e mezzo di italiani ne prendono uno ogni giorno. Aumentano le reazioni allergiche. E i batteri diventano resistenti alle terapie

Hai un po’ di febbre? Prendi l’antibiotico. Mal di denti? Prendi l’antibiotico. Si potrebbe andare avanti all’infinito con gli esempi, vista l’abitudine deleteria e diffusa di mettere mano a questa categoria di farmaci al minimo malanno, senza consultare prima il medico. Ora, quella che pensavamo una sensazione, prende forma in un dato preciso: gli italiani usano sempre di più e male gli antibiotici, ogni giorno un milione e mezzo di cittadini assume questi medicinali. In alcuni casi, l’uso è cresciuto del 400%. Il pericolo? Ritrovarci fra qualche anno senza gli strumenti per combattere le infezioni, proprio a causa della capacità dei batteri di modificarsi imparando a resistere all'attacco dei farmaci.

I dati dimostrano che gli antibiotici sono al terzo posto come spesa nella classifica dei farmaci dispensati a carico del Servizio sanitario nazionale e al quinto se si considerano gli acquisti fatti direttamente dai cittadini.

Questi farmaci, ha spiegato il direttore generale dell'Aifa Guido Rasi, vengono utilizzati soprattutto per problemi all'apparato respiratorio, ma troppo spesso impropriamente durante le influenze stagionali. Infatti, come dimostra un sondaggio presentato dal presidente dell'Istituto superiore di sanità, Enrico Garaci, quasi un italiano su tre ha preso un antibiotico per curare l'influenza ed un quarto per guarire i raffreddori. Quattro italiani su dieci hanno anche dichiarato di non avere terminato il ciclo degli antibiotici, usando quindi questi prodotti in modo sbagliato.

“Ribadiamo l'importanza di rivolgersi ai medici”, ha detto il sottosegretario con delega alla Salute Ferruccio Fazio, che non ha escluso interventi anche di altro tipo, non solo sui cittadini, per ridurre l'uso di questi prodotti in Italia che si posiziona in Europa fra i paesi con maggior consumo.

sabato 22 novembre 2008


OSSESSIONI E COMPULSIONI

Annullare i rischi e ridurre al minimo gli imprevisti è in fondo ciò che molti vorrebbero.

Ma se per ottenere questo scopo ci impegniamo in eccessivi comportamenti ripetitivi di controllo, eccessivi atteggiamenti scaramantici, rigore eccessivo nella programmazione fino agli ultimi dettagli, tentativo di mantenere un ordine ed una pulizia irrealisticamente possibile, cerimoniali assurdi e ripetitivi, è probabile che soffriamo di un DOC (Disturbo Ossessivo Compulsivo).

In tal caso i nostri comportamenti diventano una vera e propria gabbia che può giungere a legare la nostra spontaneità e a compromettere le normali relazioni sociali, la nostra vita scolastica, lavorativa e affettiva.
Caratteristiche essenziali del DOC sono le ossessioni e le compulsioni.

Ossessioni

Le ossessioni sono pensieri, immagini o impulsi che si presentano più e più volte e sono al di fuori del controllo di chi li sperimenta. Si tratta di presenze mentali che son avvertite come disturbanti ed intrusive, e, almeno quando le persone non sono assalite dall'ansia, sono giudicate come infondate ed insensate.
Possono essere ossessioni, ad esempio, la paura eccessiva dello sporco e dei germi, la paura di aver fatto male a qualcuno, di poter perdere il controllo, di essere omosessuali.
Le ossessioni si distinguono dalle comuni preoccupazioni per il fatto che queste ultime sono riconosciute come realistiche.

Compulsioni

Le compulsioni vengono anche definite rituali o cerimoniali e sono comportamenti ripetitivi (lavarsi le mani, riordinare, controllare) o azioni mentali (contare, pregare, ripetere formule mentalmente).
Lo scopo dei rituali è di ridurre il senso di disagio e l'ansia provocati dai pensieri e dagli impulsi tipici delle ossessioni.
Ad esempio, chi ha l'ossessione della contaminazione può lavarsi costantemente le mani fino a procurarsi delle escoriazioni.
Le compulsioni possono diventare talmente abituali e ripetitive da attuarsi, a scopo preventivo, anche in assenza di ossessioni.
Altre conseguenze possibili delle ossessioni sono:
Ricerca di rassicurazione da parte degli altri
Un altro modo con il quale si cerca di ridurre il disagio suscitato dai pensieri ossessivi è di chiedere di essere rassicurati da familiari, amici o medici per le proprie preoccupazioni.

Evitamento

Spesso le preoccupazioni ossessive sono causate da certe persone o circostanze, come “toccare lo sporco”, o riscontrare difetti particolari come ad esempio: oggetti non appaiati, linee spezzate, numeri particolari. Quindi, per contenere le preoccupazioni legate a queste particolari situazioni si cerca di evitarle. Per quanto sia un modo di aggirare il problema, l’evitamento può portare ad uno stile di vita sempre più limitato man mano che si determinano ulteriori situazioni da evitare.

domenica 16 novembre 2008


I LAVORI INTELLETTUALI CONTRASTANO L’ALZHEIMER

I tessuti cerebrali si dimostrano più resistenti ai danni della malattia, come la perdita di memoria

Studiare, prendere una laurea e scegliere un lavoro ad elevato valore aggiunto intellettuale potrebber costituire una buona assicurazione contro il danno che l'Alzheimer arreca alla memoria. È quanto risulta da una ricerca dell'Università Vita e Salute San Raffaele di Milano. La ricerca ha evidenziato che il danno ai tessuti cerebrali produce una perdita di memoria molto più rapida sui soggetti che non sono intellettualmente stimolati.

Sarebbe il lavoro intellettuale, o la selezione genetica che spinge gli individui a scegliere questo tipo di professioni, ad aiutare il cervello a compensare il danno causato dalla malattia. Lo studio è il primo che analizza l'effettivo danno ai tessuti e le variabli connesse all'impegno intellettuale: l'équipe del San Raffaele ha usato la tac per individuare gli addensamenti neuronali e i depositi di proteine tipici dell'Alzheimer in 242 anziani seguiti nell'arco di 14 mesi: 72 di loro mostravano lievi disturbi cognitivi e 144 non lamentavano problemi di memoria. Nel perido in esame, a 21 persone del gruppo dei 72 è stato diagnosticato l'Alzheimer.

“Il cervello è in grado di compensare il danno e di consentire ai malati di mantenere la funzionalità “Ci sono due possibili spiegazioni: il cervello può essersi rafforzato attraverso lo studio e l'impegno professionale, oppure fattori genetici che hanno consentito a queste persone di accedere agli studi superiori e a professioni di tipo intellettuale potrebbero essere in grado di determinare l'ammontare delle riserve cerebrali”.


A 40 ANNI IL CERVELLO COMINCIA A PERDERE COLPI

A questa età inizia a rovinarsi la guaina che riveste i neuroni e che consente un più rapido invio di segnali al resto del corpo

Fino ai 39 anni, cammina spedito come meglio non si potrebbe. Poi, toccata la soglia dei 40, altrettanto speditamente comincia a regredire. È la parabola del cervello umano, almeno secondo quanto dimostrato da un gruppo di ricercatori dell'Università della California (Usa) con uno studio pubblicato sulla rivista Neurobiology of Ageing.

Questo rallentamento cerebrale dopo i 40 anni si verificherebbe a causa della perdita di una "guaina grassa" che riveste le cellule nervose, i neuroni, con l'avanzare dell'età. In pratica, il rivestimento funzionerebbe come un isolante, molto simile alla copertura di plastica di un cavo elettrico, e consentirebbe il rapido invio dei segnali intorno al corpo e al cervello. Quando questa guaina si deteriora, vengono di conseguenza rallentati i segnali che passano lungo i neuroni del cervello. Ciò significa che i tempi di reazione del corpo diventano molto lenti.

Secondo gli scienziati, il corpo umano dopo i 40 anni perde la battaglia per la riparazione delle guaine protettive. Infatti, dopo aver coinvolto nello studio uomini di età compresa tra i 23 e gli 80 anni, i ricercatori non hanno dubbi: "il rendimento medio delle reti neurali diminuisce progressivamente con l'età a un ritmo accelerato".

giovedì 13 novembre 2008


Salve amici, oggi trattiamo un problema che angoscia milioni di persone : il MAL DI TESTA.

Che cos’è e come si manifesta la cefalea
• La cefalea tensiva
• L’emicrania
• La cefalea a grappolo
• Il fai-da-te per la cefalea, inutile e dannoso
• Strategie e terapie anti mal di testa

• CHE COS’È E COME SI MANIFESTA LA CEFALEA


• Trentuno milioni. Sono gli italiani che soffrono di dolore più o meno intenso alla testa, stando alle statistiche più recenti. Nel nostro Paese circa 40 milioni di persone lo hanno avuto almeno una volta nella vita e ben 28 milioni ne vengono colpiti almeno 2-3 volte l’anno, mentre per 10 milioni questo dolore è un appuntamento mensile o settimanale. Colpisce in prevalenza persone in età lavorativa, fra i 25 e i 55 anni (per lo più donne), riducendone le capacità di concentrazione o spesso costringendole al riposo assoluto.
Ma cosa è il mal di testa? E come si può curare? Cefalea è un termine generico, indica un dolore alla testa che può avere diverse caratteristiche e le cui cause non sono ancora tutte note. Può interessare solo una parte del capo o la sua interezza. Bisogna però distinguere fra cefalee primarie, in cui il mal di testa è la malattia vera e propria, e cefalee secondarie in cui il dolore è il sintomo di altre patologie più o meno gravi. Per questo è molto importante, in caso di mal di testa, evitare l’autodiagnosi e rivolgersi sempre al medico.
Per curarsi, infatti, il 55% di chi soffre di mal di testa ricorre molto spesso all’automedicazione assumendo un prodotto da banco. Ma non sempre è sufficiente, visto che alcune forme di cefalea richiedono terapie più “forti”. Ecco perché la scienza è sempre al lavoro per individuare le cause del mal di testa (ancora non del tutto chiare) e per sperimentare nuove terapie.
Il migliore alleato del paziente è il buon senso, se la cefalea è lieve e compare sporadicamente, non è il caso di allarmarsi, basta un analgesico. Ma se gli attacchi si intensificano, se le solite terapie non producono effetti e si nota un aumento del dolore o la comparsa di altri sintomi, allora è necessario rivolgersi al medico che prescriverà, caso per caso, gli esami necessari.

LA CEFALEA TENSIVA

• La forma più comune di mal di testa prende il nome di “cefalea tensiva”. Colpisce in particolare le donne e tutte le persone che, per lavoro o studio, devono rimanere sedute a lungo o vengono sottoposte a situazioni di stress o tensione.
Quali sono i suoi sintomi? Se dovessimo ricorrere al linguaggio comune, parleremmo di tipico “cerchio alla testa”: quella sensazione dovuta alla contrazione dei muscoli del collo e delle spalle che stringono il capo in una specie di morsa. Il dolore è persistente, ma non particolarmente forte: di media intensità.
Segni particolari: di solito se ne va in meno di un’ora, ma può capitare che duri anche alcuni giorni.

L’EMICRANIA

• Questa forma di mal di testa colpisce decisamente le donne in misura maggiore rispetto agli uomini: tre volte di più. È stato calcolato che ne soffre il 15% della popolazione mondiale.
I suoi sintomi sono ben definiti: il dolore è pulsante e si manifesta da un solo lato della testa. Inizia nella zona sopra gli occhi e poi si estende a fronte e tempie. A volte si verificano anche nausea o fastidio per luce o rumori.
Una forma collegata, ma meno frequente, viene definita “emicrania con aura”: si caratterizza perché l’attacco viene preceduto e accompagnato da una serie di disturbi visivi.

LA CEFALEA A GRAPPOLO

• Meno diffusa delle altre tipologie (ne soffre una persona su mille, perlopiù uomini, in un rapporto di 3 a 1 nei confronti delle donne). Si manifesta con dolori particolarmente forti, al punto da essere definita addirittura “cefalea da suicidio” e può essere cronica o episodica: coloro che soffrono della forma cronica (rappresentano il 15% dei casi totali) hanno attacchi tutti i giorni; quelli invece colpiti dalla forma episodica, due mesi l’anno, di solito al cambio di stagione.
L’emicrania a grappolo deve il suo mone al fatto che gli attacchi (di circa un’ora) si concentrano in intervalli di tempo abbastanza brevi. Durante il “grappolo” si possono avere fino a 10 attacchi al giorno.

IL FAI-DA-TE PER LA CEFALEA, INUTILE E DANNOSO

• Appena arriva il mal di testa, pur di far sparire il dolore, mettiamo mano ai farmaci che troviamo in casa (magari consigliati da un amico o, peggio, scelti senza un criterio preciso). Gli italiani spendono l’equivalente di un miliardo di euro l’anno in farmaci per la cefalea. Ma se il medicinale non è quello giusto, si finisce per abusarne senza ottenere alcun sollievo. A quel punto il mal di testa viene alimentato dalla stessa terapia.
I pazienti che si rivolgono al medico per la diagnosi della cefalea sono solo la punta dell’iceberg. Spesso le persone si sottopongono a una visita specialistica solo dopo anni di sofferenze e cure inefficaci, quando il fenomeno si è cronicizzato.
Quali, allora, gli errori da evitare? Anzitutto il fai-da-te. In caso di ripetuti attacchi bisogna informare il medico di famiglia che, se è il caso, vi indirizzerà dallo specialista. Seguite sempre le sue indicazioni sul tipo, la quantità e il dosaggio dei farmaci da assumere, e informatelo di eventuali effetti collaterali. Non sottovalutate una cefalea che compare all’improvviso e resiste ai farmaci: può essere il sintomo di altre malattie.

STRATEGIE E TERAPIE ANTI MAL DI TESTA

• Per sconfiggere il mal di testa la via più usata è quella che porta alla farmacia. Eppure in alcuni casi basterebbe cambiare abitudini. Specie per la cefalea tensiva, che dipende dallo stress, e per l’emicrania, che può essere causata da vari fattori (stanchezza, fumo, cioccolata, alcol, sole...).
Contro la cefalea tensiva. Se il dolore è lieve si può fare a meno dei farmaci. Se persiste, sono sufficienti gli analgesici da banco: da usare per poco tempo, sono quasi tutti farmaci antinfiammatori non steroidei (Fans) e non contengono cortisone.
Contro l’emicrania. Se non è troppo frequente, possono bastare gli analgesici da banco. Altrimenti, bisogna consultare uno specialista per una terapia più forte, nei casi estremi anche con farmaci molto severi.
Contro la cefalea a grappolo. I farmaci più efficaci sono i triptani, sostanze che agiscono sui meccanismi responsabili del dolore. Validi anche contro l’emicrania, esistono anche in versione spray nasale.

venerdì 24 ottobre 2008


NEWS SUI BENEFICI DEL CIOCCOLATO


Pochi grammi ma salutari. Sono 6,7 i grammi di cioccolato al giorno che rappresentano la quantità ideale per garantirci un effetto protettivo contro l’infiammazione e le malattie cardiovascolari che ne derivano.

Questo è il risultato di una ricerca condotta nei Laboratori dell’Università Cattolica di Campobasso, in collaborazione con l’Istituto dei Tumori di Milano.
La scoperta, pubblicata sul Journal of Nutrition, viene da uno dei più grandi studi epidemiologici mai condotti in Europa, il progetto Moli-sani, che ha coinvolto finora oltre 20.000 abitanti del Molise.

Studiando i partecipanti allo studio, i ricercatori hanno puntato la loro attenzione sui complessi meccanismi dell’infiammazione.

E’ noto come uno stato infiammatorio cronico sia un fattore che può predisporre al rischio di sviluppare una malattia cardiovascolare, dall’infarto cardiaco all’ictus cerebrale.

Il controllo dell’infiammazione attraverso uno dei suoi indicatori (la Proteina C reattiva individuabile con una semplice analisi del sangue) è stato oggetto di studio.

Infatti gli studiosi hanno messo a confronto i valori di questa proteina presenti nel sangue delle persone esaminate con le quantità di cioccolato che queste mangiavano abitualmente.

Su circa 11.000 soggetti, ne sono stati identificati 4.849, tutti in buona salute e senza fattori di rischio (quindi con colesterolo, pressione arteriosa ed altri parametri normali).

Di questi, 1.317 non consumavano alcun tipo di cioccolato, mentre 824 ne consumavano regolarmente, ma solo quello fondente.

Si pensa che l’elevato contenuto in antiossidanti dei semi di cacao, in particolare flavonoidi e altri polifenoli, potesse avere un effetto positivo sullo stato infiammatorio. Ed il risultato è stato molto incoraggiante: le persone che mangiano abitualmente cioccolato fondente in quantità moderata risultano avere nel sangue valori di proteina C reattiva significativamente più bassi.

In altri termini il loro stato infiammatorio viene significativamente ridotto.

giovedì 16 ottobre 2008


PERCHÉ SI PUÒ DIRE NO A CARNE E PESCE

C’è chi diventa vegetariano per motivi etici e chi invece lo fa perché è convinto che sia uno stile di vita più salutare. Per ora, degli oltre 6 milioni di italiani che hanno detto addio a carne e pesce, solo 3 milioni seguono questo particolare regime alimentare con rigore. Ma quello dei vegetariani è un esercito destinato a crescere: secondo alcune stime, nel 2050 potrebbero raggiungere addirittura i 30 milioni. Sono tanti i motivi per cui varrebbe la pena di passare – se non altro, periodicamente – alla dieta senza carne né pesce: mangiare “solo verde", infatti, aiuta a tenere lontane il cancro, il diabete e tutte le patologie cardiocircolatorie (grazie alla bassa percentuale di grassi). Inoltre, permette di tenere sotto controllo la linea, senza privare l’organismo della giusta quantità di energia (per l’alta quantità di carboidrati).
Non ne fate una questione ideologica, ma volete solo riacquistare la linea? Conta poco. In ogni caso, la regola base più importante è evitare il fai-da-te e rivolgersi sempre a uno specialista: solo così si evitano carenze nutrizionali, sempre in agguato con questo tipo di dieta (in particolare, di vitamina B12 e ferro). Specie se escludete dalla vostra alimentazione anche i prodotti lattiero-caseari

VEGETARIANI O VEGANI, ECCO LE DIFFERENZE

I vegetariani non sono tutti uguali. Ci sono quelli più “morbidi” e quelli più oltranzisti, capaci cioè di essere ancora più rigorosi nella scelta del loro menu rigorosamente privo di alimenti di derivazione animali. Ma vediamo di capire meglio.

I latto-ovo-vegetariani
Sono i vegetariani più “aperti” a qualche contaminazione della dieta con prodotti di origine animale. Escludono dalla loro alimentazione quotidiana la carne e i suoi derivati, il pesce, i molluschi e i crostacei, ma mangiano il latte e tutti i prodotti lattiero-caseari, più le uova (oltre ovviamente a qualsiasi alimento vegetale).
Quali vantaggi ha questo regime alimentare? Mangiando anche latte e uova, si riduce drasticamente il rischio di carenze nutrizionali. L'anemia ferropenica, dovuta ad un'insufficiente assunzione di questo minerale, è presente in egual misura tra vegetariani e non.
Ci sono, però, anche degli svantaggi. Se si eccede con il latte, formaggi e uova si finisce con l'introdurre troppi grassi animali, con conseguente aumento del colesterolo. E il rischio ipertensione, oltre che di malattie cardiovascolari, diabete, obesità e tumori, cresce.

Vegani
Sono gli “irriducibili” della dieta verde. Escludono tutti gli alimenti di origine animale, compreso addirittura il miele, mentre mangiano qualunque alimento vegetale, comprese le alghe.
Per quanto rigida, una dieta vegana presenta qualche vantaggio: evitando i grassi di origine animale, ci si espone meno al rischio di ipertensione, diabete, tumori e problemi cardiovascolari. Ma detto ciò, ci sono anche degli svantaggi: si può incorrere in una carenza di vitamina B12 indispensabile per un buon funzionamento del sistema nervoso e di quello circolatorio, perché questa sostanza non è presente negli alimenti di origine vegetale.

I CIBI-BASE DELLA DIETA VEGETARIANA


Per scoprire che mangiare troppa carne e altri prodotti di derivazione animale non è proprio il massimo, non serve trasformarsi in vegetariani da un giorno all’altro. Basta solo aumentare il consumo di frutta e verdura, cereali e legumi, e diminuire la carne.
Ci son alimenti, però, che non possono mancare nella dieta vegetariana, vediamo quali.

Cereali. Avena, farro, frumento, orzo, miglio e mais dovrebbero essere consumati tutti a rotazione, perché ciascuno ha proprietà differenti. Quelli integrali sono i più completi e efficaci contro le cardiopatie e i problemi intestinali

Legumi. Ceci, cicerchie, fagioli, fave, lenticchie, piselli e soia, sono una fonte di sali minerali (calcio e fosforo), fibre (che favoriscono l'attività intestinale) e carboidrati (che danno energia).

Verdure. Broccoli, bietole, cavolo riccio, cicoria, lattuga, carote. Assieme alla frutta, le verdure sono la principale fonte di vitamine per chi segue una dieta vegetariana. Quelle con la foglia verde scuro sono ricche di vitamine, ma anche di ferro e calcio, quelle di colore giallo scuro o arancio (come le carote) contengono moltissimo betacarotene, che aiuta a mantenere sana la pelle.

Frutta non solo frutta fresca da mangiare con la buccia, ma anche quella secca con il guscio come mandorle, noci, pinoli, nocciole e arachidi che contengono grassi “buoni”, utilissimi a protezione del rischio di problemi cardiovascolari.

PROTEINE E CALCIO MANGIANDO SOLO “VERDE”

Uno dei capi d’accusa delle diete vegetariane sta nel fatto che, in assenza di carne e pesce, l’apporto di proteine risulta nulla. Ma chi l’ha detto che il nostro corpo possa assumere proteine soltanto mangiando bistecche, spigole & Co.? Le proteine, seppur diverse, possono arrivare anche dai vegetali. Facciamo qualche esempio: fagioli, ceci, lenticchie e soia, tra i legumi, forniscono un ottimo apporto di proteine vegetali. Stesso discorso per latte o yogurt di soia, il tofu, la frutta secca (per esempio, le mandorle). Per i non vegan, via libera a uova (ma non più di 1-2 volte la settimana) e yogurt e latte vaccini.
E il calcio? Altra presunta nota dolente dei regimi alimentari vegetariani, può in realtà arrivare da tanti alimenti perfettamente ammessi nelle diete “verdi”. Con un bel vantaggio: che la stragrande maggioranza di questi sono gli stessi cibi che contengono anche proteine vegetali. In più, in caso di carenze documentate dal medico, si può supplire con acque minerali ad hoc.

giovedì 9 ottobre 2008


La bicicletta può far male al sesso

Ciclisti professionisti e amatoriali a rischio. In Italia i primi tre casi a livello mondiale di priapismo arterioso da bicicletta

Andare in bicicletta può mettere a repentaglio l’apparato sessuale maschile. L’allarme arriva dagli urologi, che spiegano come un colpo forte può provocare nell’uomo la rottura dell’arteria cavernosa con conseguente invasione di sangue nel corpo cavernoso. Tutto questo si traduce in un’erezione prolungata e non dolorosa (priapismo ad alto flusso) che può durare anche per diversi giorni. Tutto questo si traduce in un’erezione prolungata e non dolorosa (priapismo ad alto flusso) che può durare anche per diversi giorni.

In genere gli uomini si rivolgono allo specialista dopo qualche tempo, sperando che il fenomeno regredisca spontaneamente. Ma non si tratta di un problema da sottovalutare. A differenza del priapismo a basso flusso nel quale l’erezione è molto dolorosa e dove bisogna intervenire tempestivamente rivolgendosi ad un pronto soccorso, per questo tipo di priapismo si può attendere ma è bene comunque essere tempestivi.

Inoltre, i microtraumi provocati dal sellino possono ripercuotersi sul nervo pudendo o sull’arteria cavernosa provocando temporanei (anche della durate di settimane) deficit erettivi come accade a ciclisti professionisti dopo lunghe gare.
Dei tre casi analizzati, i primi analizzati a livello mondiale, due riguardavano soggetti adulti con trauma conseguente ad un violento colpo del pene sul tubo della bicicletta situato tra il sellino ed il manubrio. Il terso caso è stato osservato in un bambino di 12 anni per un urto violento della porzione fissa dei corpi cavernosi sul manubrio. In due casi il priapismo è insorto dopo due giorni, durante la notte; in uno dopo qualche ora.

Torna quindi, dal punto di vista dei problemi urologici, il problema della sicurezza della bicicletta. Già da tempo, infatti, sono noti disturbi come uretriti, prostatiti, ematuria, torsione testicolare e insensibilità al pene da parte di ciclisti, e da qualche tempo la bicicletta viene considerato addirittura come fattore do rischio per il deficit erettivo.


Fare sport all’aria aperta, non solo vantaggi

Respirare lo smog ormai esteso anche ai piccoli centri accelera i processi di invecchiamento del nostro organismo


Abbiamo imparato che dovrebbe essere il contesto ideale per fare attività fisica, a prescindere da quale livello di preparazione abbiamo. E invece l’aria aperta nasconde qualche insidia non da poco per il nostro organismo. Perché lo smog delle metropoli e sempre più presente ormai anche nei piccoli centri, rischia di diventare un’arma che mette a repentaglio la nostra salute.

I radicali liberi

L’effetto primario consisterebbe nell’accelerazione dei processi di invecchiamento. “L'esposizione agli inquinanti atmosferici è associata a malattie non solo a carico dell'apparato respiratorio, ma anche di altri organi, a causa della formazione di radicali liberi", spiega Claudio Marconi, direttore dell'Istituto di bioimmagini e fisiologia molecolare (Ibfm) del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) di Milano. "Questi vengono normalmente prodotti durante l'attività fisica, ma quando la loro quantità è eccessiva, determinano uno stress ossidativo, che è causa di danni, talvolta irreversibili, a carico delle membrane cellulari, delle proteine e del Dna". È lo stesso meccanismo che avviene in molte condizioni di malattia, ma anche fisiologiche, quali l'invecchiamento, e che viene accentuato dalla respirazione di sostanze inquinanti presenti nell'ambiente di lavoro (pesticidi, cromo, etc.) e nell'aria delle nostre città.

Il pericolo delle polveri sottili


“In particolare, le cosiddette polveri sottili - sottolinea Marconi - sono oggi associate a situazioni di stress ossidativo rischioso per la salute, soprattutto in individui affetti da patologie, come lo scompenso cardiaco, l'insufficienza respiratoria e il diabete". Lo confermano anche recenti studi, condotti su una cinquantina di autisti di autobus di Praga, che hanno messo in evidenza come i livelli, nelle urine, di marcatori di danno a carico del Dna cellulare siano strettamente legati alla concentrazione di polveri sottili e come questi siano indipendenti dalle variazioni di concentrazione nell'aria di idrocarburi aromatici. Inoltre, elevate concentrazioni nell'atmosfera di polveri sottili sembrano essere correlate ad alterazioni del controllo del microcircolo, specie in pazienti diabetici.

Al momento, sono pochi i centri, in Italia, che si occupano di una valutazione globale dello stress ossidativo a causa di difficoltà metodologiche, specie nella preparazione dei campioni di sangue prima dell'analisi. Per questo motivo l'Ibfm-Cnr sta allestendo un laboratorio dedicato alla determinazione dei principali marcatori di stress ossidativo in diverse condizioni: ipossia (alta quota, scompenso cardiaco, arteriopatie periferiche, insufficienza respiratoria), iperossia (immersioni con autorespiratore, medicina iperbarica) e disfunzioni metaboliche (diabete, l'obesità).

mercoledì 1 ottobre 2008


LATTE ALLA MELAMINA, C’E’ PERICOLO?
L’Ue blocca i prodotti a rischio in arrivo dalla Cina. Controlli sanitari a tappeto. Le autorità europee rassicurano: nessun rischio

Lo scandalo del latte contaminato con la melamina, che in Cina ha causato la morte di quattro bambini e l’intossicazione di oltre 13 mila piccoli, si è esteso anche all’Europa. Dopo le prime perplessità, di fronte alle iniziali rassicurazioni dell’Istituto superiore di sanità, sono saltati fuori i dubbi delle stesse autorità. E sono partiti i controlli a tappeto.

La Commissione europea ha deciso di mettere al bando i prodotti ad alto rischio, in arrivo dalla Cina, destinati a neonati e bambini. Ma anche sui prodotti destinati agli adulti verranno avviati controlli sanitari, in particolare su tutti gli alimentari che contengono più del 15% di latte in polvere cinese. Previsti anche test a sorpresa su campioni di alimentari cinesi già presenti sul mercato europeo.
L'Agenzia per la sicurezza alimentare dell'Ue (l’Efsa, che ha sede a Parma) ha diffuso un comunicato piuttosto tranquillizzante sugli eventuali rischi in Europa. Non vi sono infatti in Europa pericoli per la salute in caso di consumo di cioccolata e dolciumi contenenti latte contaminato con la melamina, considerando la disponibilità di tali prodotti sul mercato e alla luce del divieto di importazione di latte dalla Cina. L'Efsa però suggerisce anche di non eccedere in prodotti che potrebbero essere a rischio: adulti e bambini non dovrebbero superare un consumo di prodotti alimentari (biscotti, caramelle al latte e cioccolata) contenenti melamina in quantità superiore a 0,5 milligrammi per chilogrammo di peso corporeo.

Essendo l'importazione di latte prodotto in Cina proibita, l'Efsa si è concentrata sulla possibile presenza di melamina nei cibi contenenti latte in polvere o prodotti caseari fatti in Cina. Nel caso peggiore, cioè con i livelli più alti di melamina registrati in Cina (2,5 milligrammi per chilogrammo di peso corporeo) un bambino con un alto consumo di caramelle-mou, cioccolato o biscotti contenente livelli elevati di latte in polvere, potrebbe superare di ben tre volte il livello consentito di melamina. L'Efsa comunque sottolinea che al momento non è chiaro se questo teorico livello altissimo di esposizione alla melamina sia possibile in Europa.

domenica 21 settembre 2008


CELIACHIA (MORBO CELIACO)

Detta anche enteropatia da glutine, è un disturbo ereditario, presumibilmente legato ad un fattore genetico, che comporta intolleranza al glutine, proteina cereale contenuta nel frumento, nella segale, nell’orzo, nell’avena e in alcune leguminose.

È particolarmente diffusa tra le popolazioni che consumano molto glutine; in Italia l’incidenza sarebbe di un caso ogni 2000 abitanti. La reazione immunitaria che si stabilisce al glutine provoca un danno della mucosa intestinale del digiuno, a causa del quale diminuisce enormemente l’assorbimento dei carboidrati, delle proteine, e di molti minerali e vitamine. In molti casi la celiachia si rivela all’epoca dello svezzamento, quando inizia la dieta a base di biscotti, farine lattee contenenti glutine, semolino e pastina. Nel lattante si manifesta con il classico quadro della diarrea cronica con feci pallide e ricche di grasso, unitamente a pallore del volto, inappetenza, vomito, gonfiore dell’addome, umore irritabile, arresto di sviluppo e riduzione del peso corporeo. Nel bambino più grande e nell’adulto si verificano forme incomplete, e talora l’unico segno è rappresentato nel primo dal ritardo dell’accrescimento (anche evidenziabile a posteriori).

In alcuni casi insorgono complicazioni, rappresentate da anemia da carenza di ferro, fragilità ossea, emorragie, ritardo dello sviluppo puberale, turbe nervose. La diagnosi di certezza del morbo celiaco si basa sulla biopsia della mucosa digiunale. La dieta priva di glutine – condizione essenziale per la guarigione – va istituita tempestivamente e continuata per tutta la vita, altrimenti il danno intestinale può ricomparire. Vengono pertanto esclusi i cibi contenenti frumento, orzo, segale, avena, sostituiti eventualmente da altre farine appositamente studiate. Per il resto, l’alimentazione dev’essere normale, con supplementi di vitamine e minerali. Nelle forme refrattarie che talora insorgono nell’adulto, si ricorre alla somministrazione di preparati di corteccia surrenale. Se il trattamento viene seguito in modo assiduo e corretto, il ragazzo avrà uno sviluppo sia fisico che intellettivo normale, potrà condurre una vita assolutamente regolare e inserirsi nella società e nel lavoro.


COME SI RICONOSCE LA CELIACHIA

La celiachia non conosce età e può manifestarsi nelle diverse fasi evolutive di un individuo. Ne esistono diverse forme.

Quella che riguarda i bambini molto piccoli, definita “tipica”,che si manifesta con diarrea, perdita di appetito, vomito e a volte dimagrimento. Quando i bambini sono un po’ più grandi, i campanelli di allarme possono essere un rallentamento nella crescita e un eccessivo calo di peso.

La forma “atipica”, invece, si presenta tardivamente con sintomi extraintestinali, per esempio con un’anemia che non si risolve o con la difficoltà a portare a termine una gravidanza o un’inspiegabile infertilità. Negli uomini, invece, ci può essere un'alterazione dello smalto dei denti, uno stato di continua irritabilità o valori elevati delle transaminasi, senza che sia presente una malattia epatica.

La forma “silente”, infine, ha come peculiarità l’assenza di sintomi eclatanti. Quella potenziale (o latente) si evidenzia con esami sierologici positivi, ma con biopsia intestinale normale.

Talvolta i sintomi che nascondono la celiachia sono talmente modesti da non richiedere l’intervento del medico e da sfuggire quindi a una diagnosi appropriata. Il sospetto che il soggetto sia affetto da questa intolleranza emerge solo perché nell’ambito familiare c’è un altro membro affetto da celiachia (le statistiche affermano che nell’8-10% c’è familiarità).

Il primo test a cui sottoporsi quando si sospetta la malattia è quello dell’analisi del sangue per ricercare tre particolari anticorpi nell'organismo: se i valori sono elevati, è molto probabile che sia celiachia. Ma la conferma della malattia si può avere solo con la biopsia intestinale, che viene eseguita durante una gastroscopia.

IN ARRIVO UNA PILLOLA ANTICELIACHIA

Sperimentazione ok, presto sul mercato. Presa prima dei pasti, elimina i sintomi dell’intolleranza al glutine

Basta con la dieta a base di prodotti “gluten free”, stop ai mille sacrifici imposti dal dover fare la spesa tenendo sempre un occhio all’etichetta. Presto, molto presto il popolo dei celiaci (75 mila malati “ufficiali” a cui si aggiungono almeno altri 500 mila che non sanno di esserlo) potrebbe avere la soluzione a tutti i problemi: una pillola da assumere prima dei pasti, in grado di bloccare l'effetto tossico del glutine, la sostanza responsabile dell’intolleranza.

Il ritrovato è ormai in dirittura d'arrivo e nel giro di cinque anni al massimo si ipotizza una rivoluzione, come spiegano i massimi esperti mondiali di celiachia, riuniti in questi giorni a Genova per il Congresso internazionale organizzato dall'Associazione italiana celiachia. La sperimentazione sui primi 110 pazienti ha dimostrato che il farmaco, scoperto tre anni fa negli Stati Uniti da un ricercatore italiano, elimina i sintomi associati al consumo di glutine nell'85% dei casi; entro dicembre arriveranno i risultati su altri 180 pazienti. Studi sull'uomo anche per un nuovo farmaco, una proteasi che aiuta i pazienti a digerire il glutine.

“La dieta priva di glutine è assolutamente sicura, ma impone restrizioni alimentari difficili da seguire, soprattutto in particolari età della vita come quella adolescenziale”, dichiara Umberto Volta, responsabile del Centro per la diagnosi di celiachia dell'ospedale S.Orsola - Malpighi di Bologna e presidente del Comitato scientifico dell'Aic, “i celiaci inoltre sono sempre esposti al pericolo delle contaminazioni e hanno il desiderio di tornare a mangiare normalmente, senza sottoporsi a rinunce che spesso comportano la comparsa di problemi psicologici. Da qui la grande spinta da parte dei pazienti perché la ricerca scientifica fornisca una terapia alternativa".

mercoledì 10 settembre 2008


TROPPI DOLCI? IL CERVELLO NON FERMA PIU' LA FAME.

Un’alimentazione con troppi dolci danneggia i neuroni che tengono a freno l’appetito. Risultato: obesità assicurata

Finito il pasto, i radicali liberi prodotti naturalmente dal nostro organismo attaccano le cellule cerebrali che tengono a bada l’appetito. Finché la dieta è sana ed equilibrata, queste ultime hanno la meglio. Se però l’alimentazione è troppo ricca di zuccheri, a lungo andare i neuroni “ferma-fame” si deteriorano fino a diventare così deboli da perdere la battaglia. Risultato: una più rapida evoluzione verso l’obesità.

La scoperta è di un gruppo di ricercatori dell´università australiana di Monash, che in uno studio pubblicato dalla rivista “Nature” indaga i meccanismi che regolano lo stimolo della fame nel cervello.

“Più zuccheri mangiamo”, spiegano la ricerca, “più danneggiamo le nostre cellule blocca-fame. Gli individui più a rischio sono quelli tra i 25 e i 50 anni, perché i neuroni che impediscono di mangiare in eccesso sono già stati spazzati via”.
Consumare cibi ricchi di zuccheri (in particolare quelli contenuti nei dolci, non quelli “semplici” dei carboidrati come pane e pasta), quindi, porta ad un circolo vizioso in cui più si mangia più si ha fame.

lunedì 25 agosto 2008


ESSERE EGOISTI NON E’ SEMPRE UN MALE

Prima di tutto me stesso

Saper donare se stessi è una qualità ma, non sempre, pensare a sé significa essere egoisti. E' capitato a tutti, chi più chi meno, di fare un piccolo esame di coscienza per capire se in una data situazione avremmo potuto fare di più per gli altri.
Dare la precedenza ai propri interessi non sempre è un difetto perché dipende dalle situazioni in cui ci troviamo e dal modo in cui ci rapportiamo agli altri. Non c'è niente di male a dedicarsi a se stessi purché questo non danneggi le persone che ci circondano.
Gli psicologici spiegano che tutti noi abbiamo un istinto di autoconservazione, innato alla nascita, che con la fase dello sviluppo dovrebbe conciliarsi con la scoperta dell'altro. Per diventare persone mature è importante stabilire un rapporto positivo tra l'amore per sé stessi e quello per gli altri.

Il vero altruista è fatto così

L'altruismo, qualità che si deve imparare ad allenare fin dall'infanzia, è prima di tutto la capacità di superare il senso di possesso. Quali sono gli aspetti fondamentali dell'altruista? Essenzialmente due: quello razionale, che contempla un certo vantaggio per sé stessi e quello spontaneo che non chiede nulla in cambio, certamente il più nobile.
Nel primo caso, si presuppone una sorta di generosità di convenienza, un "do ut des", cioè un dare per avere. In fondo non c'è nulla di male nello scambio di favori, di appoggio, di sostegno morale e materiale.
Facciamo l'esempio di quel che può capitare in un'amicizia. Se questa è a senso unico in cui uno dei due dà sempre e non riceve mai nulla in cambio, questa sarà destinata a finire. Lo stesso in un rapporto di coppia
Esiste anche un altruismo e una generosità di chi non sa mai dire di no. In questo caso non è tanto il buon cuore a far dire sempre di sì, ma il desiderio di piacere e la paura del rifiuto.
In conclusione l'altruismo totale è veramente raro perché in tutti noi c'è un misto di egoismo e altruismo.

L'individualista rispetta gli altri

Il principio "ama il tuo prossimo come ami te stesso" nel caso dell'individualista diventa "impariamo ad amare prima noi stessi per sapere poi come amare gli altri".
Se volessimo tracciare un identikit dell'individualista-tipo, potremmo dire che è colui che riesce a gestire il proprio tempo lasciando spazio ai propri interessi senza essere indifferente alle esigenze altrui. Un esempio? Chi appartiene a questa categoria, non si sente in colpa per aver sottratto tempo alla famiglia e al lavoro, per esempio, ed è convinto che per costruire rapporti sani con gli altri bisogna prima di tutto imparare ad amare se stessi. In conclusione, fa il suo tornaconto ma rispetta gli altri.

Identikit del vero egoista

Diceva Oscar Wilde "L'egoismo non consiste nel vivere come ci pare ma nell'esigere che gli altri vivano come pare a noi".
Il vero egoista è incapace di stabilire rapporti equilibrati basati sullo scambio perché è del tutto insensibile alle necessità di chi lo circonda. Il suo motto è: prendere senza mai dare. Fa il proprio interesse ma si tratta di un interesse limitato. Un esempio? Chi inquina l'ambiente. Non si rende conto che rovina il mondo in cui egli stesso vive e che questo gli si ritorce contro.
Non tutti gli psicologi, però, sono convinti che pensare a se stessi sia un atto di egoismo, perché ogni individuo è un esser unico dotato di una personalità propria e propri talenti. L' educazione, la moralità e la società in genere, per costoro, giocherebbe un ruolo deleterio perché tenderebbe a sopprimere i talenti personali. Le conseguenze poi sarebbero stress, depressione e anche attacchi di panico.
In conclusione diciamo quindi che IL VERO EGOISMO ESISTEREBBE SOLO NEL CASO IN CUI DANNEGGIAMO CON I NOSTRI ATTEGGIAMENTI GLI ALTRI, NON SE CERCHIAMO DI AMARE DI PIÙ NOI STESSI.

martedì 19 agosto 2008


FA MALE APRIRE E CHIUDERE IL PUGNO PRIMA DI UN PRELIEVO DI SANGUE

Aumenta i livelli di potassio nel sangue, creando problemi renali o cardiaci. Meglio limitarsi a farlo una volta sola

È il gesto più usuale durante il prelievo di sangue, e si impara a farlo fin da bambini: aprire e chiudere più volte il pugno per facilitare la circolazione. Ma da oggi le cose potrebbero cambiare: un'allerta dalla Gran Bretagna segnala che aprire e chiudere il pugno potrebbe aumentare i livelli di potassio nel sangue, con la possibilità di avere alla lunga problemi renali o cardiaci, e creando tra l'altro confusione negli stessi risultati del test.

La pratica di aprire e chiudere il pugno è un relitto del passato che andrebbe superato, è stato consigliato a tutti i medici addetti ai prelievi di non chiederla più ai pazienti.

Un consiglio inevitabile, visto che sugli stessi soggetti analizzati, dopo averli invitati a non ripetere la manovra del pugno, i livelli di potassio sono calati subito sensibilmente.

Sarà difficile, ammettono gli scienziati, cambiare un'abitudine diffusa almeno dal 1960, ma l'alternativa può essere un buon compromesso: non serrare il pugno ma “chiudere delicatamente la mano e aprirla una sola volta”. In questo modo le vene vengono comunque messe in risalto, senza però influire sui livelli di potassio.

venerdì 15 agosto 2008



FERRAGOSTO, DIETA MIA NON TI CONOSCO.

Peccare senza pentimenti? Si può

Vi siete tenuti tutto l'anno e ora vi volete concedere qualche piccola trasgressione. Perché, diciamolo, un po’ di sana gratificazione ci vuole, soprattutto dopo che negli ultimi mesi siete stati “a stecchetto” per arrivare sulla spiaggia in buona forma. Sia che andiate al mare, in montagnao campagna, vi verranno offerti piatti in tema con il clima e la regione che visiterete. Nessuno vi obbliga a dire di no, ma vi suggeriamo come comportarvi per non vedere lievitare il girovita alla fine della vacanza. Il segreto c’è ed è molto più semplice di quanto pensiate. Se siete invitati da amici o mangiate al ristorante assaggiate un po’ di tutto, ma con parsimonia: senza esagerare con le-porzioni-e-i“bis”,-insomma.
Se poi alla fine di questi giorni vi sentite in colpa e volete rimediare a qualche strappo di troppo, fate così.
Ridi di pancia: un’ora di risate a crepapelle magari davanti a un buon film comico ti fa consumare 300 calorie.
Pavimento pulito, braccia toniche: se pulisci il pavimento per 30 minuti, elimini 105 calorie. Non solo: tonifichi i muscoli di braccia e gambe.
Cambia look alla casa: spostare i mobili del tuo appartamento per 30 minuti, ti fa bruciare 80 calorie.
Cambia canale alla Tv: è stato calcolato che abbandonando il telecomando e alzandosi dalla poltrona 10 volte al giorno per cambiare canale, si possono perdere fino a 5.000 calorie in un anno!

Cinque esempi per la tavola in campagna

1) La parmigiana di melanzane. Se la ordinate al ristorante, informatevi se è stata preparata con melanzane fritte o grigliate. Nel primo caso, non c’è scelta: dividete la porzione con un altro commensale.
2) Coniglio arrosto. Potete ordinarlo con tranquillità perché il grasso non supera il 5%, ed è anche una carne tenera e di facile digestione.
3) Patate al forno. Sono un ottimo contorno, ma la maggior parte delle volte sono intrise di olio. Provate a schiacciarne una con la forchetta: se trasuda condimento, mangiatene al massimo 2 o 3.
4) Salsicce alla brace.Difficile sottrarsi al barbecue che qualche amico organizzerà in giardino. E allora, prima di mettere le salsicce sulla brace, bucherellatele con la forchetta in modo da far fuoriuscire il grasso. Al ristorante, invece, chiedete al cameriere di aprirle a metà durante la cottura: si sgrasseranno un po’.
5) Crème caramel. Una porzione apporta tra le 80 e le 240 calorie. Un po’ troppo se avete fatto un pasto completo, uno strappo che vi potete permettere se avete mangiato solo un primo piatto e un’insalata.

Cinque esempi per la tavola in montagna

1) Affettati e formaggi. Vengono spesso offerti come antipasto. Regolatevi, se poi volete mangiare anche le altre portate. Concedetevi giusto qualche “francobollo” di formaggio e qualche strisciolina di prosciutto, salame ecc.
2) Canederli. Attenzione: limitatevi a 3 o 4 “palline”, perché bastano queste per fare un pasto completo. Nell’impasto c’è infatti mollica di pane mischiata al latte, uova, pancetta affumicata, wurstel e formaggio.
3) Polenta e spuntature. La polenta è un alimento “innocuo”; il problema, semmai, nasce con le spuntature: di maiale o di manzo, l’importante è non esagerare. Non superate 3-4 pezzetti.
4) Fonduta di formaggi. Si prepara con formaggi fusi e, inutile negarlo, è una vera bomba calorica. Per renderla più light, alternate un boccone di formaggio alle crudité che vengono spesso offerte come accompagnamento (il rapporto deve essere di 1 a 3).
5) Funghi alla griglia. Dopo esservi assicurati della loro provenienza, potete gustarli con tranquillità, perché se non eccederete con i condimenti sono alimenti che contengono poche calorie.

Cinque esempi per la tavola al mare


1. Insalata russa. Un cucchiaio come antipasto ve lo potete pure concedere, ma non andate oltre. È la maionese a fare la differenza, in 100 g ci sono ben 650 calorie.
2. Spaghetti allo scoglio. Lo dicono anche i nutrizionisti: pasta con crostacei, frutti di mare e pomodoro sono un mix perfetto, perché nello stesso piatto ci sono carboidrati, proteine, vitamine, sali minerali e pochi grassi. L’importante, anche in questo caso, è non esagerare con le quantità.
3. La grigliata di pesce. Ottima alternativa alla carne. Scegliete tra i pesci meno grassi come merluzzo, palombo, sogliola e orata, ma non esagerate con gli “intingoli”: preparato così, il pesce è buonissimo anche senza condimenti.
4. Frittura di pesce. Come resisterle? Difficilissimo. Allora concedetevela pure, senza però farla diventare un’abitudine. Un consiglio: abbondate con il succo di limone, perché la vitamina Ccombatte le sostanze ossidanti che si formano con la frittura.
5. Il gelato. È un alimento eclettico, può essere ideale per uno spuntino pomeridiano, ma può diventare un sostituto del pasto all’ora del pranzo quando fa caldo e non ci si vuole appesantire.

venerdì 1 agosto 2008


Parliamo dei meccanismi fisici e psicologici che generano gli scatti di ira. Con le regole per controllarsi e… “difendersi”

Che cos’è l’ira e perché ci si arrabbia

Fa parte dei sette vizi capitali, quelli a cui nessun uomo dovrebbe mai cedere. Eppure – proprio come la gran parte degli altri sei – all’ira cediamo eccome, chi più e chi meno. Ed è inevitabile, perché si tratta di uno dei sentimenti più primordiali (insieme con la gioia e il dolore) che vi siano nella mente dell’uomo. Le prove? Tutti i sinonimi del termine (rabbia, collera, esasperazione, furore…), tutte le sfumature che può avere (irritazione, fastidio, impazienza, intolleranza…).
Ma che cos’è in concreto la rabbia? La reazione a un limite, a un’imposizione (fisica o psicologica), l’espressione di un bisogno di affermare la propria persona. Come tutte le emozioni, la rabbia non è mai giusta o sbagliata: c'è e bisogna prenderne atto, comprenderla, gestirla al meglio. Chi riesce a metterle la sordina, non sempre ne ricava benessere, perché si tratta di un segnale molto importante: che qualcuno o qualcosa sta calpestando il nostro “io”. Perché si scatena la rabbia? Gli studi concordano nel ritenere prevalente questo fattore: la volontà che si attribuisce all'altro di ferire e l'eventuale possibilità di evitare l'evento o situazione frustrante. Ciò significa che ci si arrabbia quando qualcosa o qualcuno si oppone alla realizzazione di un nostro bisogno, soprattutto quando viene percepita l'intenzionalità di ostacolare l'appagamento.
A che serve la rabbia? Le modificazioni fisiologiche (che coinvolgono sia il corpo che la mente) che si manifestano attraverso uno scatto di ira, hanno l’obiettivo di rimuovere la causa della frustrazione alla base del nostro impeto aggressivo. Lo stato emotivo in cui ci troviamo quando siamo in preda alla collera è il carburante a cui attingiamo per passare alle vie di fatto, siano queste azioni oppure solo parole.
A differenza degli animali, i motivi alla base di un attacco di rabbia nell’uomo riguardano la frustrazione di attività che erano collegate con l'immagine e la realizzazione di sé.

Gli effetti della collera sulla nostra salute

Le pubblicazioni scientifiche sugli studi dell'inibizione delle manifestazioni aggressive, dimostrano che reprime i propri sentimenti di rabbia tende a viverli per un tempo più lungo. Insomma: mettere il tappo all’impulso (talvolta sano, oltre che legittimo) di reagire a un sopruso o a un torto o a una qualunque costrizione, vive peggio. E si porta avanti a lungo questa condizione di malessere.
Già, perché gli effetti dell’ira sulla fisiologia umana sono ampiamente dimostrati. Sfogarsi ogni tanto fa più che bene, sempre che non si esageri: studi approfonditi hanno confermato che un quarto dei casi di problemi cardiaci è dovuto all’eccessiva perdita di controllo in un’esagerata reazione fisica alla rabbia. E ancora: a forza di arrabbiarsi troppo e spesso, si rischia di incappare in conseguenze psicosomatiche non di poco conto. Così come, del resto, succede per il contrario (non concedersi, cioè, neanche un’“esplosione” di tanto in tanto). E così, patologie come l’ipertensione, l’emicrania cronica, la gastrite e diversi altri problemi di non poco conto sono strettamente collegati allo stato psicologico del collerico per antonomasia o del soggetto eccessivamente autocontrollato.

Come non farsi prendere dall’ira

Tutti conosciamo l’antico adagio secondo cui, prima di lasciarsi travolgere da un attacco d’ira, sia fondamentale “contare fino a dieci”. Bene, vi suggerisco qualche consiglio in più per resistere alla tentazione di arrabbiarsi.

1) Non giustificatevi dicendo che “è colpa del mio caratteraccio”, come se fosse qualcosa che non si può governare. Accade a tutti di provare il sentimento dell’ira e quasi sempre è possibile dominarsi.

2) Provate a riflettere sui fattori che di solito vi portano a “scattare”. Sono davvero validi? Provate allora a gestire le provocazioni, a comunicare meglio le vostre ragioni, a trovare metodi alternativi per difendere i vostri diritti. Se invece riconoscete che il più delle volte vi arrabbiate per motivi banali, diventa necessario imparare a non farsi trascinare.

3) Calcolate il rapporto costi-benefici di una litigata: di solito sono molto squilibrati a favore dei costi. E si traducono in problemi sul lavoro e in famiglia, danni d’immagine, perdita di rapporti importanti…

4) Quando sentite crescere la voglia di reagire, fermatevi e cercate di rimandare il più possibile la reazione: basta per esempio uscire dalla stanza o prendere tempo con l’interlocutore prima di replicargli.

5) Tecniche di rilassamento come il training autogeno o la meditazione sono utilissime. Lo stress è un fattore di rischio per gli attacchi di rabbia, qualsiasi pratica diretta a limitarlo non può che sortire effetti positivi.

6) Gran parte delle persone che si arrabbiano spesso e volentieri, soffrono di un senso di frustrazione latente e continuo. Può dipendere da traumi passati o da un’insoddisfazione presente (magari sul lavoro). Rendersene conto e cercare di rimediare può rivelarsi molto utile.

7) Reprimere completamente l’ira non solo serve a poco, ma può risultare controproducente: si rischiano problemi psicosomatici. Tra il cedere alla rabbia e subire passivamente qualcosa che proprio non vi va giù, c’è una via intermedia: provate a capire se esiste una soluzione più funzionale di una scenata sterile e improduttiva.

Come comportarsi di fronte a uno scatto d’ira altrui

Ognuno di noi ha un modo di comportarsi diverso, quando si trova di fronte a uno scatto di rabbia altrui. Ma qual è quello più adatto a non complicare le cose, pur senza cedere necessariamente alle presunte ragioni dell’interlocutore?

a) Davanti a un’aggressione verbale o fisica, il primo impulso è di alzare il tono e disporsi a rispondere con gli stessi metodi. Ma è sbagliato: l’aggressività provoca solo altra aggressività, in un’autentica escalation violenta e sgradevole.

b) Difendersi è necessario, nessuno dice che si debba subire passivamente. Anche perché l’iroso e aggressivo, di fronte a un interlocutore che non replica, tende a rincarare la dose, proprio perché non incontra resistenze. Risultato: la rabbia aumenta, proprio quello che si deve evitare.

c) L’ideale sarebbe mantenere la calma, senza però apparire intimoriti né disposti ad alimentare lo scontro. In concreto: se l’aggressione è verbale, potete rispondere usando toni fermi, ma tranquilli; se invece è fisica, è importante mettersi al riparo da altri attacchi, perché se si accetta un contatto, si finisce in rissa.

martedì 22 luglio 2008


L’amore è tutta una questione di chimica

Il feeling tra due persone è il risultato di un complicato processo ormonale e cerebrale.
Viaggio nei meccanismi che fanno stare insieme una coppia

L'amore? Come una droga naturale

Sul tema dell'amore si sono spesi fiumi di parole e i romantici potranno rimanere delusi nel sapere che a far scattare l'amore, tra due persone, anche quello romantico, non è tanto l'attrazione fisica o quella mentale, ma la chimica. Già, perché tutto è dovuto a due ormoni: la dopamina e l'adrenalina, gli stessi che si innescano nel caso di una tossicodipendenza.
Ma partiamo con ordine. All'inizio di una relazione, quando nasce il desiderio si scatenano nel cervello una serie di reazioni chimiche simili a quelle stimolate dalla cocaina o da altre sostanze sintetiche. Sia nella droga che nell'innamoramento, infatti, si produce una maggiore quantità di dopamina che stimola le aree cerebrali deputate al controllo del piacere, ma anche di adrenalina, che aumenta l'afflusso di sangue verso alcune parti del corpo, come gli organi riproduttivi.
E non è finita qui, perché se sentirsi innamorati è come essere drogati, gli stessi sintomi si presentano anche quando la relazione è finita: sensazione di giramento di testa e stomaco in subbuglio.
Il cervello aumenta la produzione di dopamina anche quando si è stati abbandonati o si è gelosi del partner. Per questo motivo l'innamorato è ancora più determinato a riconquistare l'oggetto del desiderio, proprio come il tossicodipendente lo è nel cercare un'altra dose.

Le tre fasi dell'innamoramento

Dell'amore si occupano psicologi, sessuologi, antropologi e neurobiologi ciascuno con le proprie tesi. Gli esseri umani hanno sviluppato tre diversi sistemi cerebrali per consentire la riproduzione, ognuno basato sulla secrezione di determinati ormoni.
Il primo è l’attrazione sessuale, associata sempre a grandi quantità di testosterone. Il secondo è l’amore romantico, favorito da un’elevata produzione di dopamina e norepinefrina, e da una bassa attività di serotonina. La dopamina scatena un’incredibile energia: per questo gli innamorati non dormono, perdono peso, e sono fortemente motivati.
Il terzo ormone chiamato in causa, che consente alla coppia di mettere al mondo un figlio ed è l’attaccamento a lungo termine, varia secondo il sesso: l’ossitocina per le donne e la vasopressina negli uomini; entrambi sono ormoni che offrono una sensazione di totale appagamento.

Uomini e donne, così diversi nell'amore

Se un medico prendesse nota dei sintomi di cui soffriamo quando siamo innamorati potrebbe fare una diagnosi di disturbo dell'umore se non, nei casi più “gravi”, di una vera e propria malattia mentale. Quali sono questi sintomi così tipici dell’amore “adolescenziale”? Inappetenza, ansia, sbalzi di umore, improvvise sudorazioni, tachicardia, respiro affannoso, sensazione di vuoto allo stomaco, insonnia e pensieri ossessivi.
Uomini e donne non sono uguali nelle reazioni. A livello cerebrale, c’è una grande differenza: negli uomini si ha una forte attività nella zona deputata agli stimoli visivi, nelle donne invece si accende l’area legata alle sensazioni. Il motivo c'è. Infatti, in milioni di anni di evoluzione, gli uomini hanno dovuto valutare visivamente le donne per capire se fossero adatte o meno a produrre figli sani. E questo spiegherebbe perché gli uomini si innamorano più velocemente. Alla donna invece un’occhiata non basta: deve valutare più attentamente il futuro compagno prima di portare un figlio in grembo per nove mesi e allevarlo per anni.

La scienza conferma: l'amore è cieco

Possono metterci davanti la foto di Brad Pitt o quella di Naomi Campbell. Se siamo davvero innamorati, ai nostri occhi saranno persone qualunque, senza un briciolo di fascino. A dimostrare scientificamente che l'amore è davvero cieco, uno studio statunitense condotto dalla University of California di Los Angeles (Ucla), pubblicato sulla rivista "Evolution and Human Behaviour". I ricercatori hanno chiesto a 120 studenti eterosessuali con una relazione sentimentale fissa di esaminare foto di giovani attraenti dell'altro sesso pubblicate su un sito web di appuntamenti eHarmony, e subito dopo di annotare pensieri sul proprio partner o su un argomento a piacere. Coloro che hanno scelto di scrivere del proprio partner, giudicati dai ricercatori "più innamorati" degli altri, hanno dimostrato di pensare alle foto attraenti viste su Internet sei volte meno degli altri. E ricordavano molti meno particolari delle ragazze o dei ragazzi mostrati loro. E' come se i sentimenti di amore per una persona mettessero una benda sugli occhi. Come se la memoria cancellasse selettivamente le immagini che potrebbero distogliere le persone dal pensare quanto è attraente il proprio partner fisso.

mercoledì 16 luglio 2008


AL SOLE SI PREVENGONO I TUMORI

L’esposizione costante al sole per due ore diminuisce fino al 50% il rischio di sviluppare tumore alla prostata, al seno e al colon-retto. Lo ricorda lo studio appena pubblicato sul Clinical Journal of the American Society of Nephrology, condotto dal Dipartimento di Medicina ed Endocrinologia dell’Università di Boston, diffuso dall’Adoi, l’associazione Dermatologi Ospedalieri Italiani.

Il merito, spiegano gli esperti, è della produzione di vitamina D, legata ai raggi solari, la cui assenza è motivo di malattie infettive, autoimmuni, cardiovascolari e di tumori. La vitamina D agisce beneficamente su tessuti differenti e in particolare sulla prostata e sul seno. Non mancano studi che rimarcano l’azione proapoptotica, antimetastatica e antiangiogenetica, antinfiammatoria e immunomodulante di questa vitamina.

Sono sufficienti due ore al giorno di esposizione nelle ore meno calde, per produrre la concentrazione di vitamina D utile all’organismo. Numerose ricerche confermano la sua azione anticancro, e la relativa mancanza determina un aumento del rischio di sviluppare il tumore al colon-retto fino al 253%.

Il deficit di vitamina D è un problema molto diffuso nel mondo: i fattori che ne influenzano la produzione cutanea sono il tipo di pigmentazione della pelle, le creme protettive, l’orario di esposizione, l’età , la latitudine e la stagione dell’anno. L’estate è sicuramente il momento migliore per prendere il sole e aiutare il nostro organismo. A volte però i cambiamenti negli stili di vita e la stessa paura eccessiva di sviluppare un tumore della pelle rischiano di provocare più danni che benefici.

Il consiglio quindi è di esporsi al sole con moderazione, usando filtri protettivi adeguati al proprio fototipo, cioè al tipo di carnagione, evitando le ore più calde del giorno e, se proprio si vuole restare in spiaggia, ricordando di coprirsi con una maglietta e con un cappellino.

mercoledì 2 luglio 2008


CELLULITE E MESOTERAPIA OMOTOSSICOLOGICA

I canoni della bellezza sono notevolmente cambiati dai tempi di Rubens ai nostri giorni. Le "Tre Grazie" rubensiane sono un ottimo esempio di celluliti miste, dove su una adiposità localizzata si impianta un processo cellulitico.
Si possono apprezzare infatti, nel quadro del famoso pittore, la cosiddetta "cute a materasso” (madras skin) e la cute ondulata "a coltrone" (quilt skin) in corrispondenza della regione glutea, del fianco e della radice delle cosce, nonché delle ginocchia.
Tracce di alterazioni corporee di tipo cellulitico si trovano lungo tutto il decorso della storia umana. Segni di interesse medico per questa inestetica affezione a carico del tessuto adiposo, si ritrovano però solo agli inizi del ventesimo secolo.
Nasce in Francia, proprio in questo lasso di tempo, il termine "cellulite", che viene dapprima usato per indicare un generico inestetismo delle gambe e dei fianchi, poi lo si considera una aberrante espressione di un carattere sessuale secondario, tipico del sesso femminile.
È negli anni 70 che inizia, in Francia ed in Italia soprattutto, una nutrita serie studi per mettere a fuoco le caratteristiche salienti della cellulite.
Negli anni 80 si conosce quasi tutto su questa patologia che altera la silhouette femminile e si comincia anche a trattarla medicalmente come malattia.
Le cure più in auge inizialmente sono i bagni in paraffina, i massaggi vigorosi effettuati per "rompere la cellulite", le saune e le creme utilizzate per ionoforesi.
Sono ancora pochi i medici che si occupano di questa malattia e quei pochi si servono di diete dimagranti spinte all'estremo, di estratti di tiroide, di diuretici. Poi si sviluppano con vigore le terapie mediche (mesoterapia) e chirurgiche (liposcultura) della cellulite, nel frattempo le tecniche diagnostiche si sono affinate con la possibilità di effettuare la termografia e la ecografia.
Negli anni successivi si forma la “coscienza cellulitica”, per il diffondersi anche tra i pazienti e le persone comuni di pubblicazioni; si comincia a pensare a cure mediche globali, intese non solo a combattere il sintomo cellulite ma soprattutto ad agire sul terreno, per la pulizia dell’organismo dalle tossine.


La cellulite è una affezione distinta dalla obesità. I termini più correttamente e comunemente utilizzati sono: lipodistrofia o panniculopatia edemato-fibro-sclerotica (PEFS).
È una malattia non infiammatoria del connettivo, che riconosce più cause, inizia con disturbi del tessuto vascolare e porta ad una cattiva regolazione del flusso di sangue nei tessuti; risultato finale è il ristagno ematico.
A questo segue una fuoriuscita di liquido dai vasi che comprime le cellule, anche quelle adipose che sofferenti, riversano una parte del loro contenuto all’esterno determinando, nel tempo, una iperproduzione di fibre collagene. Così si formano dapprima i micronoduli, poi i macronoduli, caratteristici della cellulite in fase avanzata.
Prevalentemente le donne di razza bianca soffrono di questa affezione, anche se magre e tutte le età possono essere colpite.
Una serie di fattori possono influenzare lo svilupparsi della cellulite: questi possono agire da soli, o intrecciarsi tra di loro rendendo più profonda ed ampia l’affezione:
• I disordini della nutrizione, in particolare l’eccesso nella dieta di zuccheri, di grassi e ormoni, rappresentano un ottimo terreno su cui può svilupparsi la cellulite.
• Le alterazioni della digestione, sopratutto quelle dovute ad insufficienze enzimatiche e quelle associate a disbiosi intestinale; inoltre le intolleranze alimentari.
• I fattori circolatori se di origine arteriosa determinano sofferenza cellulare con alterazione del connettivo. Se invece è interessato il tratto venoso, sia per alterazioni strutturali che funzionali, si avranno stasi del sistema linfatico e gonfiori.
• Variazioni della normale statica della colonna vertebrale e della postura, sono spesso associate ad una alterazione del normale flusso venoso con edema (gonfiore), che da il via al processo cellulitico.
• Le compressioni con indumenti stretti (guaine elastiche, pantaloni stretti, calze a gambaletto), stipsi ostinata, infezioni ginecologiche, tumori della pelvi creano tutte un importante rallentamento circolatorio.
• Il fumo di sigaretta provocando vasocostrizione, rallenta la velocità del sangue con riduzione della ossigenazione dei tessuti e conseguenti danni agli organi ed anche al connettivo. A questo si deve aggiungere l'effetto diretto sugli apparati respiratorio e circolatorio con l'iper-produzione di radicali liberi.
Tanto nella donna adolescente, quanto nella donna adulta, si troveranno i depositi cellulitici preferenzialmente in alcune zone: glutei, cosce, gambe, lombi, regioni laterali dell’addome.
Alcuni dei principali sintomi, che si possono riscontrare nelle donne che presentano questo inestetismo sono: la presenza di "micro" o "macronoduli", riduzione della temperatura cutanea, possibile presenza di smagliature e teleangectasie, dolorabilità talora anche allo sfioramento. A queste manifestazioni si possono aggiungere disturbi della sfera psichica: nervosismo, distonie neurovegetative, tendenza alla depressione, possibili turbe dell'umore.
Come si può combattere il processo cellulitico?
Una delle possibili risposte è l’uso combinato e ragionato della mesoterapia con farmaci omotossicologici.
È una metodica che permette di iniettare, a livello dermico, piccole quantità di farmaci, in maniera tale da essere più vicini possibili alla parte malata.
Può essere usata con successo in reumatologia, in angiologia, nelle malattie venose, oltre che nella cellulite e nelle adiposità localizzate.
Si iniettano con una siringa, al cui apice è applicato un ago molto piccolo, dei farmaci “specifici”, che agiscono sulle varie cause della cellulite.
“Pungendo” con l’ago nei distretti ove è presente l’inestetismo, si rilascia una piccola quantità di farmaco che svolgerà localmente la sua azione.
In genere, dalle sei alle dieci sedute a cadenza settimanale sono sufficienti per ottenere un buon risultato.
Ci sono una serie di vantaggi per il medico ed il paziente utilizzando i farmaci omotossicologici; la reazione allergica è un inconveniente che non si verifica. In allopatia è opportuno usare farmaci per uso endovenoso, per evitare incidenti conseguenti ad eventuale introduzione accidentale in vena, tale precauzione non è necessaria in omotossicologia. La mesoterapia omotossicologica non prevede l’aggiunta al cocktail di anestetici.
Per effettuare in maniera corretta una terapia omotossicologica mediante infiltrazioni dermiche è necessario:
1. Disintossicare l'organismo attraverso un regime alimentare idoneo, che rispetti la biochimica della nutrizione per evitare un ulteriore sovraccarico tossinico di origine alimentare;
2. Contemporaneamente praticare una terapia di drenaggio;
3. Infine un trattamento bio-mesoterapico della cellulite.
In considerazione del fatto che la cellulite è determinata da diversi fattori, l’azione della mesoterapia dovrà essere a 360° gradi supportando da un lato la circolazione, dall’altro il drenaggio. Si dovrà effettuare una incisiva azione lipolitica, un eventuale riequilibrio ormonale ed infine si sosterrà anche la tonicità del tessuto.
Alcuni dei farmaci che si possono utilizzare per sostenere la circolazione sono: l’Aesculus per la sua azione flebotonica, l’Hamamelis che permette di ridurre i gonfiori e la pesantezza delle gambe, il Solanum che stimola la circolazione arteriosa.
Un aiuto per il riequilibrio del sistema ormonale arriva da Hormeel e Lilium. L’azione drenante, nel caso in cui si voglio agire sul fegato, è svolta con notevole efficacia da Hepeel.
Farmaci principi nella stimolazione della lipolisi sono, oltre ai ben conosciuti Fucus e Graphites, anche l’Acidum Fumaricum Injeel ed il Natrium Sulfuricum Injeel.
Un tessuto che è stato trattato per ridurre la cellulite, presenterà una cute sicuramente con un basso grado di tonicità, è indispensabile introdurre nel cocktail mesoterapico uno o più farmaci rassodanti. La Thuja Compositum è farmaco di forte stimolazione dei metabolismi cutanei, migliorando il trofismo dei tegumenti. Il preparato è particolarmente indicato nelle forme di cellulite molle.
Il Funiculus Umbilicalis Suis Injeel è rimedio rivitalizzante per eccellenza. Stimola la produzione dei proteoglicani del connettivo migliorandone la compattezza.
L’azione di rivitalizzazione cellulare dell’Embryo Totalis Suis è da ascriversi al miglioramento della vascolarizzazione del tessuto trattato con il farmaco.
La caratteristica peculiare, specifica ed indubbiamente interessante della mesoterapia omotossicologica è la “personalizzazione” della terapia con farmaci “Costituzionali”.
Si potranno anche utilizzare, in dosi adeguate, in base alle problematiche del paziente, sia in mesoterapia che come terapia domiciliare, il Rhus Tox-Homaccord fl. nella paziente che presenta contemporaneamente cellulite dolorosa e dolori nevralgici e artritici.
Cantharis Compositum S fl. trova indicazione nei pazienti che, con determinate compromissioni renali recidivanti, presentano una cellulite infiammata. Spesso si dovrà ricorrere al Cortison Injeel fl. nelle donne sottoposte a terapie cortisoniche per lungo tempo.
Il processo cellulitico ha un andamento cronico nel tempo, risulta fondamentale quindi un continuo drenaggio dell’accumulo tossinico, che deve essere obbligatoriamente accompagnato da un adeguato modus vivendi.
Lo stile di vita deve quindi rappresentare il giusto equilibrio tra le attività vitali quali: nutrizione, drenaggio, lavoro, attività fisica, sesso, sonno.


UN VALIDO AIUTO PER NON AUMENTARE DI PESO DURANTE LE FERIE: LA GARCINIA CAMBOGIA

La Garcinia Cambogia è un albero di media altezza che cresce spontaneamente nell'India Meridionale, in Indocina, in Cambogia, nelle Filippine, ha delle lucenti foglie verde scuro di varie forme.

La Garcinia produce un frutto di forma ovale, molto largo, ricoperto da un grosso e carnoso pericarpo di colore arancio o giallo. Dalla buccia del frutto della Garcinia, si ottiene un estratto ricco di acido idrossicitrico, stabilizzato e reso facilmente assimilabile come sale di calcio. L'acido idrossicitrico è fisiologicamente presente nel nostro organismo e l'uso come supplemento alimentare può essere utile in caso di obesità, ipercolesterolemia ed eccesso di trigliceridi perché interviene nella sintesi dei grassi e nella regolazione dell'assunzione dei cibi.

E' noto che nel tessuto adiposo finisce tutta quanta quella parte degli alimenti assimilati che non è stata utilizzata dall'organismo per mantenere l'integrità degli organi, della pelle, dei muscoli o per produrre energia (si dice infatti che l'organismo "brucia" le calorie assunte col cibo); così gli zuccheri, le proteine ed i lipidi introdotti in eccesso con l'alimentazione vengono trasformati in grasso. che si accumula nel tessuto adiposo; la trasformazione richiede l'intervento di particolari enzimi, ed uno di questi, la citricoliasi, viene inibito dall'acido idrossicitrico. Come conseguenza si ha una limitata conversione degli zuccheri in grassi ed un senso di sazietà.

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lunedì 16 giugno 2008


PIERCING? TENDENZA E RISCHI PER LA SALUTE.

Molto frequenti, anche se fortunatamente non sempre così gravi, sono le complicazioni legate alla pratica del piercing. Si tratta infatti di un trend in piena parabola ascendente che potrebbe però presto risultare in un carico economico e di lavoro eccessivo per il sistema sanitario nazionale a causa dei rischi correlati a questa pratica, soprattutto quando realizzata in condizioni igieniche discutibili. È l'avvertimento lanciato da una ricerca pubblicata sul British Medical Journal, nella quale sono stati indagati la popolarità del body piercing e la frequenza delle complicazioni e degli interventi sanitari necessari per porvi rimedio.

Secondo lo studio inglese, almeno una persona su 10 al di sopra dei 16 anni e circa il 50 per cento degli individui di età compresa tra i 16 e i 24 ha almeno un piercing. In prevalenza sono donne giovani o adolescenti. Differenze di genere sono state poi riscontrate nella parte del corpo destinata a ricevere il piercing: le donne prediligono ombelico, naso, orecchio e lingua, mentre gli uomini capezzolo, sopracciglio, orecchio e lingua.

Purtroppo lo studio ha rivelato anche che un terzo dei piercing non viene effettuato in uno studio specializzato, dove sono garantite le norme igieniche e di sicurezza necessarie ad evitare infezioni e complicazioni. Uno dei rischi che si corrono a farselo da soli o dal cugino dell'amico di un amico è ad esempio quello di contrarre l'epatite, ma anche una semplice infezione può avere gravi conseguenze.

Il tipo più comune è quello all'ombelico e almeno un terzo delle complicazioni registrate nello studio è associato a questo tipo. Complicazioni sono state riscontrate anche per il 50 per cento di quelli alla lingua, per quelli al capezzolo e per quasi tutti quelli sui genitali. La risoluzione di questi problemi, che spesso si presentano anche dopo diversi mesi, è affidata spesso ai medici di base se non addirittura al pronto soccorso.

Tutto ciò non riduce la richiesta: il mercato prospera e le previsioni stimano che presto almeno metà della popolazione femminile esibirà orgogliosa il proprio piercing. Per evitare dunque problemi imprevisti e soprattutto tragedie senza senso occorre secondo i ricercatori lavorare per rendere più sicura questa pratica, ad esempio acquisendo informazioni sui fattori di rischio, incrementando il numero di laboratori specializzati dove effettuare con maggiore sicurezza questi piccoli interventi nonché sensibilizzando chi offre questo servizio in merito ai rischi.

domenica 8 giugno 2008






Diamoci una mossa


Italiani, un popolo di sedentari?
Attività fisica strumento di prevenzione?
Quale attività scegliere?
Prima regola camminare?
Come e quanto?

Italiani, un popolo di sedentari?

Nell’Unione Europea quasi i due terzi della popolazione adulta (dai 15 anni in su) non svolgono una quantità sufficiente di attività fisica e, nel nostro Paese, almeno il 40 per cento della popolazione trascorre “seduta” il proprio tempo libero.
Ancora più preoccupante appare la riduzione del numero di ragazzi praticanti un’attività sportiva: tra i giovani di 18-19 anni, la quota di persone completamente inattive è passata dal 18 per cento del 1997 al 24 per cento nel 2001. Lo stesso accade nelle fasce di età più precoci: tra i 6 e i 10 anni più di un bambino su 5 non svolge alcuna attività fisica nel tempo libero. Infine, secondo la “Relazione sullo stato sanitario del Paese 2001-2002”, circa il 60 per cento degli adulti tra i 25 e i 64 anni non svolge alcuna attività fisica.
Tutto questo spiega, tra l'altro, l’aumento vertiginoso del sovrappeso e dell’obesità nella popolazione occidentale. La promozione dell’attività fisica diviene quindi un’azione prioritaria di Sanità pubblica. Lo dimostra il fatto che essa viene ormai inserita nei piani di programmazione sanitaria in tutto il mondo.

Attività fisica strumento di prevenzione?

L’attività fisica è uno degli strumenti principali per migliorare la salute fisica e mentale delle persone e il suo effetto protettivo nei confronti di molte malattie può essere paragonato a quello di non fumare.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) una vita “attiva” aiuta ad abbassare la pressione, a prevenire le malattie cardiovascolari e – in particolare – il rischio di infarto, contribuisce a mantenere più facilmente il giusto peso evitando obesità e sovrappeso, abbassa il rischio di ammalarsi di diabete di tipo 2 (quello che si manifesta nell’età adulta), previene lo sviluppo di alcuni tumori come il tumore del colon e quello del seno, contribuisce in modo significativo a mantenere in salute i muscoli e le ossa, previene l’osteoporosi e quindi, specialmente negli anziani, limita il rischio di dolori alle ossa, di cadute e di fratture.
Alcuni studi dimostrano che le persone fisicamente attive hanno in media un'aspettativa di vita superiore di circa 6 anni rispetto a quelle che conducono una vita sedentaria. Come se non bastasse, altri studi hanno recentemente sottolineato il valore del movimento nel ridurre i sintomi da depressione, ansia e stress.

Quale attività scegliere?

L' attività fisica può variare molto di intensità, che è grosso modo correlata allo sforzo compiuto e quindi all'energia che viene spesa dal nostro corpo. Per esempio, la corsa o l’uso della bicicletta sono attività più intense rispetto ad una passeggiata, così come camminare ad andatura sostenuta comporta un consumo di energia assai superiore ad una tranquilla passeggiata per negozi.
Un criterio pratico per differenziare i vari gradi di intensità dell’attività fisica è questo: l’attività fisica leggera è possibile svolgerla cantando o chiacchierando, quella moderata permette di parlare, mentre quella pesante non consente la conversazione con altre persone per effetto della eccessiva accelerazione del respiro.

Un'attività fisica finalizzata alla salute dovrebbe essere – secondo le raccomandazioni generali – di moderata intensità, cioè dovrebbe far accelerare temporaneamente il battito cardiaco e la frequenza del respiro, lasciando la persona leggermente accaldata e con la respirazione leggermente aumentata: in questo caso il metabolismo del nostro corpo aumenta da 3 a 6 volte rispetto allo stato di riposo.

L'attività fisica può essere comunque di tipo sportivo oppure connessa con il lavoro o con le attività della vita quotidiana, come fare i lavori di casa, praticare il giardinaggio, lavare l'auto, fare le scale a piedi, andare a fare la spesa o portare a spasso il cane. L’attività legata alla vita quotidiana ha il vantaggio che, quando diventa parte delle abitudini di vita, può più facilmente essere protratta nel tempo.

A casa o al lavoro:

* Fare le pulizie
* Fare giardinaggio
* Fare le scale a piedi
* Andare a piedi o in bici al lavoro o a fare la spesa
* Prendere il bus e scendere qualche fermata prima della destinazione
* Sfruttare le pause per una passeggiata
* Andare a parlare di persona con il collega anziché utilizzare il telefono o l’e-mail

Nel tempo libero:

* Seguire corsi di ballo
* Fare sport con un amico
* Iscriversi a un centro sportivo
* Fare gite a piedi o in bici
* Organizzare vacanze “attive”
* Andare a passeggio con il cane

L’OMS raccomanda – per restare sani – un minimo di mezz’ora di attività fisica moderata quasi ogni giorno per gli adulti e di un’ora per i bambini. Sotto questa soglia non vi sarebbe un effetto protettivo verso le malattie, mentre un aumento dei tempi o dell’intensità dovrebbe garantire un effetto protettivo maggiore. Naturalmente una quantità maggiore si rende necessaria qualora si debba perdere peso: in questi casi i tempi da dedicare quotidianamente all’attività fisica dovrebbero aumentare di circa il 50 per cento.

I 30 minuti di attività fisica non devono per forza essere effettuati tutti in una volta. Lo sforzo deve avere un'intensità sufficiente ad aumentare moderatamente la frequenza cardiaca, per un periodo di 10 minuti o più. Esempi di attività fisica moderata sono il cammino ad andatura sostenuta, la bicicletta in piano, il ballo. Comunque, qualora si decida di iniziare un programma di attività fisica partendo da una condizione di sedentarietà, si dovrà sempre procedere gradualmente.

Prima regola camminare?

Il cammino rappresenta il primo livello per tutti coloro che vogliono iniziare a dedicarsi alla propria salute. È utile camminare ogni volta che è possibile, ricordando che i benefici maggiori si ottengono con la continuità, poiché il nostro corpo risponde sempre meglio alle continue sollecitazioni adattandosi a carichi di lavoro sempre più intenso.
Per di più il cammino non costa nulla (ed è quindi alla portata di tutti), permette di socializzare, non richiede particolari abilità, equipaggiamento, strutture o presenza di insegnanti. Infine, il cammino è adatto a tutte le età perché presenta un basso rischio di incidenti e di traumi muscolo-scheletrici.

Come e quanto?

Prima di tutto è importante indossare l’abbigliamento adatto, cioè scarpe comode (per esempio scarpe da ginnastica) che consentano un’agevole articolazione della caviglia, l’adozione di un abbigliamento “a cipolla”, cioè a strati, con indumenti leggeri per evitare sudorazioni eccessive, ricordando anche di adoperare il cappellino se c’è il sole. Altrettanto importante è ricordarsi di bere, specialmente quando si superano i 30 minuti di esercizio fisico, di evitare le ore più calde o più fredde della giornata e di non camminare digiuni (né tanto meno a stomaco troppo pieno).

Il cammino, oltre che in termini di tempo, si può misurare con un piccolo apparecchio semplice da usare, il contapassi o pedometro, il cui prezzo (fra 15 e i 25 euro) è oltretutto alla portata di tutti. Alcuni consigliano circa 10.000 passi al giorno di cammino veloce; ma il cammino è consigliato in ogni caso, anche a livelli inferiori. È necessario cominciare lentamente – specialmente se ci si trova fuori allenamento – ed aumentare l’esercizio con gradualità.